Genova, 27/01/2017.
Una casa in cui si viene accolti ad entrare. Un tavolo a cui si viene chiamati a sedere. Un vissuto a cui si viene invitati a partecipare. Non tutti però. I grandi siedono all'esterno. Là dove si innalza il bosco. Al tavolo, solo piccoli e giovani. Si creano così due livelli di spettacolo e di spettatori. Non è semplice coincidenza simbolica.
Vista in una fase ancora di rodaggio Piccoli eroi, la nuova produzione del Teatro del Piccione, è stata presentata in anteprima a Mantova a Segni New Generations Festival 2016. Ora nella sua forma compiuta va in scena, per grandi e piccini, al Teatro della Tosse in sala Agorà - meglio nota come La Claque - dal 30 gennaio al 2 febbraio 2017 (ore 20.30).
Dentro Piccoli eroi, l'autrice e attrice Simona Gambaro ha fatto confluire diversi spunti, tra cui la fiaba Pollicino. Un pretesto o una vera e propria riscrittura? «Mi prendo il ruolo di scrittura dentro il gruppo, ma senza il sostegno del gruppo non andrei fino in fondo», esordisce Simona raccontando la fase ideativa del lavoro insieme a tutta la compagnia. «Abbiamo cominciato facendo una ricerca artistica sul tema dell'identità e della casa portandola dentro tutte le nostre attività (laboratori, interventi nelle scuole, seminari, ecc.). All'interno di questa indagine, ad un certo punto ci siamo presi una pausa: perché ognuno desse la sua rilettura di quanto fatto fino a quel momento. Io avendo da tempo in testa Pollcino, una fiaba che mi ha sempre inquietato, ho mescolato istintivamente la mia visione della fiaba con questo lavoro sull'identità la famiglia la casa».
Ognuno quindi ha cominciato a proporre performance, installazioni, riflessioni a voce alta del suo modo di intendere e di rielaborare i temi. Oltre a Piccoli eroi, è nato infatti anche un altro spettacolo di teatro ragazzi, questa volta rivolto ai piccolissimi, Escargot. «Dalla stessa dinamica è uscita quest'altra produzione scritta da Daniela Baroni, per la regia di Antonio Panella. La radice è la stessa: la casa, l'identità. Il personaggio che apre la sua casa, arriva con un materassone sulla schiena che, srotolato, svela tutta una serie di oggetti. È pensato per i piccolissimi, dall'anno e mezzo ai 5 anni, ed è un lavoro molto delicato e lento, che conduce dentro il ciclo della natura, attraversando le stagioni».
Identità, casa, Pollicino, come ha preso forma Piccoli eroi? «La prima uscita era una casa di passaggio, aperta. Questa era la mia visione. Poi però la fiaba ha dettato legge, ha dato il supporto metaforico, è stata una rete, una cosa comoda su cui appoggiarsi e i fili hanno cominciato ad annodarsi, mentre io non potevo far altro che assecondare. Il seme è stato messo nel terreno creato dalla compagnia, un gruppo ricco per un felice connubio di assonanze umane e artistiche. La complementarietà tra noi è forte. Quindi, nonostante la mia scrittura contenga già anche indicazioni registiche, Antonio (Tancredi, ndr) riesce a darmi sostegno sia come autrice che come attrice, consentendomi di smettere di controllare tutto. Antonio alla regia non è mai direttivo, si mette in ascolto e io mi sento portata e sospinta, da sola non saprei andare in certi luoghi inesplorati, sia come drammaturga che come attrice. È una sensazione strana ti senti guidata senza esserlo, ti senti portata a lasciarti guardare senza mostrarti».
Questo modo di procedere, questo dialogo costante che sta alla base del processo creativo e di assemblaggio dello spettacolo Simona lo definisce un patto tra «incanto e bruttezza» in un equilibrio sempre dinamico che tende a «lasciar vedere il sudore che c'è dietro, a svelare lo sporco del lavoro. Sia come attrice che come scrittrice sento qualcosa che preme entro di me e fuori di me» e quindi il gesto non è mai individuale ma sempre una risposta al sollecito del gruppo e del metodo.
Proprio sul metodo ci soffermiamo in chiusura con Simona. «Anche dentro questo percorso c'è il laboratorio». Che tipo di laboratorio? «Abbiamo cercato e messa a punto una formula che vorremmo trasformare in un progetto più ampio. Inizialmente ci è servita per attraversare il percorso tematico che ci eravamo preposti in un tempo relativamente breve in modo che si potesse mostrare qualcosa all'esterno, a un pubblico, ma che fosse rispettoso di chi partecipava».
La fase finale di questa formula laboratoriale proposta a diversi gruppi (adulti e ragazzi, in vari contesti) «è una sorta di mostra d'arte poetico-artistica. A partire dalla tematica della casa, che si è rivelata di straordinaria immediatezza per tutti, ogni partecipante crea una sua installazione e la pensa proprio come opera d'arte: può agire, mostrare o anche raccontare, cioè essere guida poetica di quanto ci ha messo dentro. Il tema ha radici profonde per tutti gli esseri umani. È facile perché tutti ci si ritrovano. Ognuno propone interventi brevissimi. L'abbiamo fatto al Palazzo Te a Mantova, per esempio. In questo caso i partecipanti aspettavano il pubblico a occhi chiusi in una stanza. Ogni spettatore sceglieva un partecipante, che a quel punto apriva gli occhi conduceva verso l'opera».
Come spesso succede con gli spettacoli di teatro ragazzi, c'è una domanda ricorrente "ma è uno spettacolo per adulti o per ragazzi?". Al di là del fatto che il buon teatro non si chiude mai a un solo tipo di spettatore, ma è capace di includere e proporre diversi livelli di lettura e godimento, proprio come la buona letteratura, la buona arte e il buon cinema, Simona ha una sua personale riflessione sul quesito da condividere: «Non apro la questione di una specificità del teatro ragazzi che io credo vada riconosciuta e difesa, ma che troppo spesso diventa utile scorciatoia o etichetta infamante, equivalente di mediocre qualità. Parlo di Piccoli eroi, nella mia concezione drammaturgica». Il discorso si interrompe, solo temporaneamente, Simona mi offre la lettura di una poesia: «oggi sto totalmente immersa nelle parole della poetessa Wisława Szymborska:
[...] Sono una trappola in trappola,
un abitante abitato,
un abbraccio abbracciato,
una domanda in risposta a una domanda.
La divisione in cielo e terra
non è il modo appropriato
di pensare a questa totalità.
Permette solo di sopravvivere
a un indirizzo più esatto,
più facile da trovare,
se dovessero cercarmi.
Miei segni particolari:
incanto e disperazione.
Poi riprende il filo del discorso offrendo la sua risposta: «Io dico che questa storia riguarda tutti. PER I FIGLI PARTITI, per quei ragazzi e quelle ragazze. Quei ragazzi seduti intorno al tavolo. Loro che attraversano i luoghi oscuri e luminosi della fiaba, metafora potente della vita. Loro che partono, con tutto il coraggio che serve, per compiere la storia che gli è data. E noi intorno a guardare, muti testimoni. Ecco ciò che mette in teatro questo spettacolo: insieme all'azione narrata, la narrazione di uno sguardo. Allora mi chiedete: ma questo è uno spettacolo per ragazzi o per adulti? Io dico che questa storia riguarda tutti. Racconta di un passaggio di vita, che è la conquista di un'autonomia, un'identità, un proprio posto nel mondo. Ragazzi e ragazze ne sono i protagonisti. Ma questo non riguarda solo loro. O perlomeno non dovrebbe. Parla di un partire, di chi è costretto a migrare, lasciandosi alle spalle miseria e violenza, alla ricerca di un luogo dove poter vivere dignitosamente. Tanti e diversi Pollicini ne sono i protagonisti. Ma questo non riguarda solo loro. O perlomeno non dovrebbe. Siamo chiamati a guardare. Così l'azione narrata diventa esperienza per gli spettatori portati concretamente dentro la storia, a condividere un piatto di patate, un bicchier d'acqua e tutte le emozioni che passano. Ma anche gli altri spettatori, che guardano da lontano ciò che accade, diventano parte narrante: raccontano di sé, di ciò che siamo in questo tempo».
Di Laura Santini