Genova, 01/03/2017.
Si aprono le porte sulla storia di Genova e del suo Porto. Una storia che conosceremo attraverso i suoi protagonisti: gli armatori.
Giovedì 2 marzo il Galata Museo del mare di Genova inaugura un nuovo allestimento al terzo piano del Museo. Un percorso multimediale fatto da incontri, ricordi, filmati monologhi e dialoghi in grado di ricostruire la vicenda armatoriale tra il 1880 e il 1970.
Chi entra nella mostra si trova di fronte a un allestimento che trascina il visitatore sul ponte di coperta di una nave, un grande fumaiolo giallo con una stella rossa, all'ingresso, la cabina di comando poco distante, e attorno, 18 modelli di molteplici piccole navi tra mercantili e passeggeri. Un po' come un teatro. «Un teatro - spiega Pierangelo Campodonico, direttore del Mu.Ma - che è rappresentato dal ponte di coperta di una nave di migranti della fine dell'Ottocento. Quella di Giobatta Lavarello che porta i migranti da Genova verso la Plata».
Un viaggio dall'Unità d'Italia a oggi «per raccontare questo Porto che per noi, genovesi, rappresenta una sfida».
Varcata la soglia troveremo gli armatori che discutono fra di loro, la tuga (sovrastruttura del ponte) al centro del piroscafo, al cui interno sono esposti i modelli dell'Accame e del Regina Margherita insieme ai busti di Florio e Rubattino. Sempre qui, sono proiettati quattro filmati per raccontare alcuni momenti salienti a bordo del piroscafo: quando sulle navi, armatori e politici, decidevano il futuro della marineria e la ripresa economica genovese. Mentre, dall'altro lato della sala, due videoproiezioni a tutta parete, fanno rivivere un bombardamento durante la seconda guerra mondiale e una manovra nel Porto di Genova.
Dai discorsi di ieri agli orizzonti di oggi. Per questo viaggio nel tempo, basta salire una scala di ferro e provare a solcare i mari. Grazie a un simulatore di pilotaggio - che utilizza lo stesso sistema di addestramento professionale adottato in ambito civile e militare - è possibile provare l'ebrezza di capitanare una nave.
Questo progetto della Sala degli Armatori, frutto di una stretta collaboraizione tra il Mu.Ma e l'associazione Promotori Musei del Mare Onlus, nasce per rappresentare l’evoluzione di quel mondo economico che riuscì a passare dalla vela tradizionale alla navigazione moderna, a vapore.
A partire da singole figure di comandanti o armatori, come Erasmo Piaggio, Andrea Corrado, Angelo Costa, Carlo Cameli, Ignazio Messina, GB Bibolini, Ernesto Fassio, Alberto Ravano, si formarono vere dinastie che, dopo la grande espansione a cavallo tra XIX e XX secolo, dovettero affrontare il Novecento, i cambiamenti del mondo e dell'economia, passando attraverso due conflitti mondiali, crisi economiche (anni '30) e stagione della ricostruzione (tra gli anni ’50 e ’60), fino ad arrivare ai giorni nostri.
«Questi armatori hanno in qualche misura avuto la grande responsabilità di operare delle scelte su un un campo estremamente rischioso e difficile quale quello dell'armatoriato», spiega Campodonico. «Il senso di questa nostra mostra è raccontare queste persone».
«Questa - riprende - non è solo la storia di una famiglia e di un gruppo di persone, ma una storia collettiva, comune, perché scelte come il passaggio dalla vela al vapore, alle nuove tecnologie, fino alla nascita di navi come i traghetti, sono scelte che hanno condizionato la nostra vita. Quindi non è solo la storia di pochi», ma «anche la storia d'Italia», osserva Maria Paola Profumo, presidente Mu.Ma. e un omaggio al mondo degli armatori che hanno fatto grande Genova su tutti i mari.
Ma perché questa scelta di raccontare il mare e il Porto attraverso gli armatori? «L'idea nasce dopo un viaggio a Hong Kong - spiega Roberto Giorgi, presidente dell'associazione Promotori Musei del Mare Onlus - dove, nel 2013, ho visitato il Museo marittimo. Mi ricordo che, passando attraverso le sale dedicate agli armatori di Hong Kong, sono entrato nella storia della marineria di questa regione. Allora, quando sono tornato a Genova abbiamo pensato di allestire uno spazio dedicato agli armatori anche qui».
Di Rosangela Urso