Genova, 24/01/2018.
Il Principe Libero, il film per la regia di Luca Facchini su Fabrizio De André è finalmente arrivato nei cinema, in anteprima martedì 23 e mercoledì 24 gennaio, in attesa dei passaggi in televisione martedì 13 e mercoledì 14 febbraio 2018, in prima serata su Rai Uno.
Si è fatto un gran vociare sull’interpretazione di Luca Marinelli, nei panni del grandissimo, immenso Faber. Il polverone si è alzato in merito alla sua mancanza della cocina: ebbene sì, tutto è partito proprio da lì, dal fatto che Marinelli non avesse la tipica cadenza genovese, cantilenante e strascicata, ma un sentore vagamente romanesco, che effettivamente affiora qua e là.
La nota positiva è che ci si dimentica abbastanza velocemente di questa assenza, perché l’interpretazione è forte e potente, supportata da una somiglianza fisica ovviamente non eclatante, ma piuttosto centrata sulle espressioni facciali, sullo sguardo sbilenco e sul modo di muovere la bocca tipico di Faber, quando cantava aggrappato al microfono e alla sua chitarra acustica. Marinelli presta la voce, la sua voce, nelle sequenze musicali e lo fa in maniera egregia.
Il Principe Libero, però, non è prettamente basato sulla vita del musicista, anzi la musica ha un ruolo in realtà leggermente marginale nel biopic, più basato sulla storia personale di Faber. Il film inizia dalla Sardegna, dalla tenuta in Gallura dove De Andrè ha vissuto con il grande amore della sua vita, Dori Ghezzi, interpretata da un’ottima Valentina Bellé, che ne coglie la forza e la dolcezza. E si parte da una tragedia, ossia dal rapimento avvenuto nel 1979. Si torna poi a Genova, nei caruggi, con Faber bambino e studente, figlio ribelle di Giuseppe, dirigente d'azienda, politico e insegnante, interpretato da Ennio Fantastichini, attore di rilievo che anche in questo caso fa la sua figura, mancanza di cocina a parte.
Faber nel periodo della gioventù si muove nei caruggi, tra signorine e localacci fumosi, dove suona solo ed esclusivamente per gli amici (notissimo il suo terrore per il palco e per i concerti), il tutto rappresentato in maniera poetica, notturna, carica di storie di vita, tra un gotto di troppo e l’altro e personaggi felliniani, che ancora oggi si trovano qua e là per i vicoli di Genova. Buona la rappresentazione del capoluogo ligure e del suo centro storico, anche se non particolarmente ampia: tutto si riduce a qualche ripresa dall’alto della città oppure dal basso, nei vicoli.
Forse la poesia scaturita dalla visione del cuore pulsante della città non ne esce particolarmente potente, ma è anche vero che di film si tratta, incentrato, come si accennava prima, sulla storia personale di Faber, tra l’amore per la moglie Puni e il rapporto difficile ma profondo con il figlio Cristiano, passando poi per la meravigliosa storia con Dori e le carbonare di mezzanotte in cucina con la figlia Luvi.
Una menzione particolare alla rappresentazione della solida e geniale amicizia con Paolo Villaggio, interpretato magistralmente da Gianluca Gobbi: identico, ma non scimmiottatore di quello che poi sarebbe diventato il ragioner Ugo Fantozzi (ma non solo, ricordiamocelo tutti). Così come va menzionata la rappresentazione (seppur più marginale) del rapporto con Luigi Tenco: Faber, per avere successo con le ragazze, si spacciava per l’autore del brano Quando. E da lì, mille nottate sulla spiaggia di Boccadasse, a bere, a fumare e a parlare di musica insieme.
Il film prosegue raccontando un Faber con la sigaretta perennemente in bocca e un bicchiere sempre tenuto a distanza quasi nulla. Un musicista che aveva dato voce a icone senza tempo, come Mina che si innamorò della sua Marinella, ma eccessivamente timido per stare sul palco, nonostante i memorabili concerti alla Bussola. Non sempre furono dei successi di pubblico proprio a causa del suo disagio e del brutto vizio di cercare la forza di esibirsi nell’alcol, ma De Andrè si riscattò in seguito, anche grazie alla collaborazione con la Pfm, rappresentata forse troppo brevemente sullo schermo. È stato un miracolo musicale talmente elevato quello, da meritare qualche minuto di pellicola in più.
Bellissimi i costumi di scena, fedeli al millimetro alle varie epoche in cui Faber ha vissuto e alle foto che noi tutti ricordiamo: i pullover, i cappotti e i jeans a zampa degli anni Settanta sono rappresentati in maniera eccellente.
Il Principe Libero si conclude con le immagini originali di Fabrizio sul palco del teatro Brancaccio a Roma, in occasione del concerto del 1998: un degno finale di un omaggio sentito e fedele al cantautore italiano più imponente, per liriche e musica a cui la nostra città abbia dato i natali.
Di Paola Popa