Genova, 18/05/2018.
La prima volta che ho incontrato Matteo Corradini è stato nell'aula di una scuola. Lui non c'era, ma un gruppo di adolescenti metteva in scena La repubblica delle farfalle, il romanzo in cui l'autore racconta dei ragazzi di Terezin. È con quelle immagini negli occhi e con quelle voci che mi preparo a intervistarlo: storico ebraista, scrittore, giornalista, quest'anno riceve il Premio Andersen come protagonista della cultura dell'infanzia. Qui si può consultare il programma degli eventi a Genova per il Premio Andersen 2018.
Per l'occasione, arriva in città con La Shoah delle ragazze, un reading che si inserisce tra le diverse iniziative dedicate al 37esimo Premio Andersen, il più importante riconoscimento assegnato in Italia a chi si occupa di letteratura per ragazzi. L'appuntamento è sul palco del Teatro Altrove alla Maddalena, mercoledì 23 maggio 2018, alle ore 21. È lì che l'autore racconterà le storie di quattro giovani ebree: Anna Frank, Etty Hillesum, Ilse Weber, Inge Auerbacher, attraverso parole, proiezioni video e fotografie sostanzialmente inediti. Un momento per entrare dentro la storia passando dallo sguardo di chi l'ha vissuta. Ecco cosa ha raccontato Matteo Corradini, uno dei vincitori del Premio Andersen 2018.
Pochi giorni fa hai dichiarato che il reading è un
po' il discorso che vuoi fare per il Premio Andersen che stai
per ricevere: ci spieghi un po' meglio cosa
intendi?
«Beh, ogni premio merita un discorso e visto che il Premio Andersen
mi viene dato per il mio lavoro sulla Shoah parlo di quello.
Durante la cerimonia non potrò fare un discorso di un'ora,
altrimenti il pubblico rischia di addormentarsi e, poi, ci saranno
gli altri premiati, con il reading, invece, verranno fuori delle
cose che c'entrano con il premio, si starà insieme, si riderà
anche... avremo più tempo»
Sia nel tuo lavoro di storico che nelle tue
narrazioni si rintraccia un forte desiderio di cercare, da dove
arriva?
«È che mi annoio facilmente. Quando incontro i ragazzi nelle
scuole, per esempio, potrei ripetere sempre la stessa “pappa”,
intanto incontro sempre ragazzi diversi, ma io mi annoierei
tantissimo e, dopo poco, non sarei più convincente e nessuno mi
ascolterebbe più. Continuare a cambiare, provare modi diversi di
portare i miei studi, le mie scoperte, mi costringe a sperimentare:
i ragazzi cambiano continuamente e provare con loro esperienze che
non ho mai tentato è una forma di rispetto nei loro confronti. Ci
sono persone che vogliono andare sul sicuro, ma ad andare sul
sicuro si sbaglia sempre».
Perché dedichi il tuo lavoro soprattutto ai
ragazzi?
«Mi piace l'idea di avere di fronte qualcuno di cui non conosco
i pensieri. Quando mi invitano ai convegni, agli incontri dedicati
agli adulti, so più o meno che le persone che ho di fronte hanno
una sensibilità simile alla mia. Con i ragazzi è diverso: nelle
scuole, nelle biblioteche, rivivi la bellezza di incontrare
qualcuno che è diverso da te, forse non è neanche interessato a
quello di cui stai parlando e magari ti contraddice. Mi è capitato
in un istituto superiore di Bolzano di trovarmi davanti dei ragazzi
di CasaPound, si sono divertiti a farmi domande complicate,
provocatorie: per me è stato un momento utile in cui mettermi alla
prova. La scuola è l'ultimo posto dove puoi trovare una
situazione così. Una nazione adulta dovrebbe costruire occasioni
del genere fuori dalla scuola, ma ciò non accade: in
nessun'altra istituzione dello Stato avviene una cosa del
genere».
C'è chi dice che continuare a parlare di Shoah esclude la possibilità di riflettere su altri genocidi altrettanto degni di memoria. «Certo che ci sono stati altri massacri, basta puntare un dito a caso sul mappamondo e quasi sicuramente si aprirà la possibilità di parlare di altre stragi: ci sono libri che ne parlano, film, articoli... ma io ho scelto di occuparmi di Shoah, passo la vita a studiare, a tramandare questa memoria, altri si occuperanno di passarne altre».
Nei tuoi scritti affermi che la memoria esiste nella
relazione. Cosa significa?
«La memoria va necessariamente tramandata, se esiste solo dentro di
noi non è memoria: sono ricordi. La memoria esiste se la passi a
qualcun altro e lo puoi fare attraverso diversi mezzi: la
fotografia, la scrittura, il racconto orale... la memoria esiste
nel passaggio, non può restare ferma, se non la passiamo
finisce».
Com'è nata la scelta di dedicarti alla Shoah, di
diventare ebraista?
«Non sono ebreo e non ho parenti ebrei, è successo che sono andato
a studiare a Venezia lingue e letterature orientali e, poi, mi sono
specializzato nella Shoah dei bambini e, in particolar modo, mi
dedico a Terezin. Non essendo ebreo mi sento sempre un po' come
un ospite che prima di entrare in casa deve chiedere il permesso e
questo mi porta ad avere ancora più cura e attenzione nel trattare
questi avvenimenti così carichi di sofferenza».
È un lavoro che ha un grande valore di collegamento
tra culture e storie.
«La memoria della Shoah è per non ebrei. Gli ebrei non hanno
bisogno di ricordare: ognuno ha la sua storia, i suoi morti. Penso
che fare ricerca sul dolore di un altro sia un atto di
civiltà».
A proposito del premio: che effetto ti
fa?
«Beh, sono molto contento naturalmente e mi evoca tanti ricordi,
molti anni fa ho collaborato con Andersen, conoscevo bene Gualtiero
Schiaffino. Insomma, tante emozioni, ma non le voglio nominare ora,
rischierebbero di sfumare via, ci saranno altri momenti per
dirle».
Il lavoro teatrale di cui si parla all'inizio dell'articolo è stato condotto dal regista Antonio Tancredi e si è tenuto nella scuola secondaria di primo grado Rizzo Alessi di Pegli in una classe terza guidata dal professore Giampaolo Minuto.
Matteo Corradini (1975) è ebraista e scrittore. Dottore in Lingue e Letterature Orientali con specializzazione in lingua ebraica, si occupa di didattica della Memoria e di progetti di espressione. Dal 2003 fa ricerca sul ghetto di Terezin, in Repubblica Ceca, recuperando storie, oggetti, strumenti musicali. È tra i curatori del festival scrittorincittà (Cuneo). Ha fondato la Pavel Zalud Orchestra. Prepara conferenze musicali e regie teatrali. Tra i suoi ultimi libri, la cura del Diario di Anne Frank (BUR Rizzoli), la postfazione di Io sono una stella di Inge Auerbacher (Bompiani), La pioggia porterà le violette di maggio (Lapis), Siamo partiti cantando (RueBallu), La repubblica delle farfalle (Rizzoli).
Sabato 26 maggio 2018 a Genova (Palazzo Ducale, Sala del Munizioniere, ore 15), a Matteo Corradini verrà conferito il Premio Andersen come Protagonista della cultura per l'infanzia per l’appassionata e competente opera di ricerca, approfondimento e divulgazione intorno alla didattica della Memoria anche e soprattutto attraverso una molteplicità di forme espressive - letteratura, musica, teatro - capaci di coinvolgere a consapevolezza, pure grazie all’emozione, i bambini e i ragazzi. Per l’impegno nella letteratura e nella cultura per l’infanzia e adolescenza coniugando l’acribia del ricercatore, la passione dell’attivista e il talento del narratore (motivazioni della Giuria del 37° Premio Andersen).
Di Daniela Carucci