Genova, 26/05/2018.
Sono sopravvissuti. Sono testimoni oculari accidentali. Sono parenti delle vittime. In BU21, il drammaturgo britannico Stuart Slade, alla sua seconda prova nel mondo teatrale dopo Cans (2014), prosegue a scandagliare la dimensione umana a confronto con il disastro, il terrore imprevisto, il catastrofico incidente. Lo spettacolo, in scena fino al 2 giugno 2018 alla Piccola Corte, è il primo all'interno della XXIII edizione della Rassegna di Drammaturgia Contemporanea della stagione Insieme - Teatro Stabile/Teatro dell'Archivolto, quest'anno in scena sia alla Piccola Corte (Corte Lambruschini) sia alla Sala Mercato.
Nata grazie allo stimolo della realtà londinese Theatre503, la drammaturgia di Slade vuota il sacco di vissuto che Slade ha incontrato da un altro punto di vista attraverso Ivanov Films, la sua casa di produzione per la realizzazione di film, animazioni, spot pubblicitari e brevi documentari legati alle strategie di risposta ai disastri nei paesi del terzo mondo, portandolo per anni a diretto contatto con scene di sofferenza a varie latitudini. Il teatro di Slade è cresciuto nel sodalizio con il regista Dan Pick e la creazione di una compagnia teatrale la Kuleshov Theatre all'interno della quale Slade ha cominciato a scrivere sulla pelle degli attori (Graham O’Mara e Jennifer Clement), facendo affidamento sulle loro potenzialità. Così è nato BU21 in cui i nomi dei personaggi erano proprio i nomi degli attori.
Questo backstage ci aiuta a ricollocare un lavoro crudo come BU21, che maneggia la sofferenza in presa diretta ponendoci di fronte a monologhi che trasudano traumi freschi, difficili da elaborare, ferite ancora sanguinanti tradotte in parole. Portati all'interno di un gruppo di ascolto, questi monologhi inziano tutti nel rispetto di una cornice pseudo-confessionale "ciao sono Clive...", "ciao sono Graham...". Il destinatario di queste confessioni però non è solo Derek, lo psicologo (personaggio assente), ma il pubblico a cui in particolare Alex, uno dei sei personaggi, rivolgerà tutto il suo più brutale disincanto e acido sarcasmo.
Uno dopo l'altro si intersecano gli interventi di queste vittime, a vario titolo colpite da un attacco terroristico che ha abbattuto un volo di linea precipitato in pieno giorno in un quartiere ricco di Londra. La giovane Thalissa (Daniela Duchi) ha perso la madre, ma se n'è accorta da una raccapricciante immagine online. Ana (Valentina Favella) è sulla sedia a rotelle dopo aver subito gravi ustioni: stava prendendo il sole nel parco quando è successo. La sfrontata Floss (Silvia Napoletano), non proprio a suo agio con la sfera emotiva, si è ritrovata un uomo seduto su un seggiolino d'aereo in giardino, era ancora vivo si sono guardati, poi lui è morto. Graham (Mario Cangiano) è l'autista di una ditta di costruzioni si trovava nella zona al momento dell'impatto e ha risposto a un'irrefrenabile curiosità; per poi diventare un eroe essendo intervistato per primo dai media. Il mussulmano-londinese Clive (Fabrizio Costella) ha perso il padre e la possibilità di una riconciliazione. Il cinico Alex (Francesco Patanè) la fidanzata e il migliore amico, fusi insieme in un amplesso traditore.
La regia di Alberto Giusta lascia agli interpreti il corpo a corpo con le parole e con il pubblico. Non ci sono appigli, o quasi, per l'intera rappresentazione - solo, per un paio di quadri, qualche sedia e dei biscotti; un microfono; qualche cambio luci. Una parola dopo l'altra un vissuto pesante comincia a vestirli al di là dei loro abiti. Ognuno ha una sua verità da portare sulla vicenda. Ognuno svelerà una parte della falsa-verità degli altri. Ognuno cercherà la verità di quanto gli è accaduto. Mentre Alex, incarnando forse le preoccupazioni dello stesso Slade, più degli altri personaggi incalzerà il pubblico con domande dirette: "Vi piace questa merda?"
Ad andare in scena ci sono anche i conflitti sociali e di classe, le varie opinioni e posizioni sui migranti e sui diritti di cittadinanza, le questioni di identità, le idee razziste, i rapporti d'amore e sesso, le varie progettualità post-traumatiche costruite a braccio sulle proprie capacità psicologiche di reazione. C'è una goffa ironia, un riso stirato su reazioni inimagginate fino a un minuto prima, eppure a volte è il riso la nostra risposta all'orrore. Forse perché è troppo? Forse perché ci autocensuriamo? Forse perché l'imbarazzo ci svela nella nostra pochezza e nelle nostre recondite paure?
La miseria umana e l'ostinato istinto di sopravvivenza, dolore e piacere, tutto si confonde. Il racconto diventa a più riprese pornografico perché osceno nell'esposizione di un'intimità malata scioccata da visioni indelebili - spesso il corpo umano reduce dall'incidente è sfigurato e descritto nel dettaglio come un oggetto, si trasforma in un pezzo simile a una parte da macello. Una prova non facile per il gruppo di interpreti che si destreggia con i propri personaggi e le loro traumaticità con maggiore o minore forza e varietà di registri, cercando progressivamente di incarnare le immagini raccapriccianti che ognuno narra, diventando con più e meno successo patetiche incarnazioni di dolori assoluti. Con varia intensità e tenuta della scena, coerenza rispetto alle complicazioni linguistico-culturali di un testo collocato nella realtà multietnica londinese (non in quella dialettale italiana), si dimostrano decise ad esprimere fisicamente femminilità molto lontane l'una dall'altra Daniela Duchi, Valentina Favella e Silvia Napoletano così come cavalcano altrettante figure maschili Francesco Patané, Fabrizio Costella e Mario Cangiano. Tutti però faticano a restituire tonalità sufficientemente diverse ad ogni voce, su un testo che in traduzione standardizza le parlate e non oppone alcuna resistenza a quell'italiano-tradotto tramandatoci dal cinema dove abbondano i calchi e alla fine di ogni elenco propone sempre l'improbabile "e cose così".
La spettacolarizzazione della catastrofe da terrorismo che questa drammaturgia mette in scena ha un sapore molto contemporaneo, ma trattiene e non si allontana poi molto da quel fascino un po' perverso per la cronaca nera che nel tempo ha affascinato artisti e scrittori. Tornano in mente due esempi in particolare: Andy Warhol e J. C. Ballard. Negli anni '60, dopo essersi guadagnato la scena lavorando su serialità e prodotti di consumo, Warhol voltò lo sguardo alle immagini sui giornali che descrivevano varie forme di disgrazie, inaugurando la cosiddetta serie Death and Disaster : incidenti automobilistici, suicidi, condannati alla sedia elettrica. Alcune di queste opere sono da tempo nelle collezioni permanenti di grandi musei - Orange Car Crash 14 Times è al Moma di New York dal 1991, Black and White Disaster #4 è in Svizzera, dal 1972, al Kunstmuseum di Basel, Orange Car Crash è a Vienna, Museum Moderner Kunst dal 1978.
In letteratura J.C. Ballard portò la spettacolarizzazione macabra del corpo umano ai suoi estremi in Crash, romanzo del 1973 (nel 1996 trasformato in film da Cronenberg): manifestazione di un feticismo erotico legato alla visione di incidenti d'auto, di un protagonista che si spinge oltre e vuole vivere in prima persona i traumatici eventi sognando di morire in un frontale accanto a Elizabeth Taylor.
Come grida con forza una spettatrice: "No", questa roba non ci piace ma allo stesso tempo ci concede il tempo per rielaborare le rovine umane e ambientali dei tanti accidenti calamitosi che hanno stravolto il modo di guardare al mondo. Diventati seriali infatti molti di questi hanno smesso di provocare in noi alcun impatto. Anestetizzati di fronte a quasi tutto, in occasioni come queste dove uno dei personaggi dice proprio "tanto a me non capiterà mai", ci confrontiamo con il "e se invece mi succedesse?" Niente può preparare al peggio, ma confrontarsi con il peggio e il meglio del genere umano, mentre annaspa in sciagure inellutabili, è un esercizio utile per continuare a domandarsi dove stiamo andando e soprattutto per mettere a fuoco le tante ragioni che guidano gli esseri umani nelle loro scelte.
23 maggio - 2 giugno 2018
@ Piccola Corte (Corte Lambruschini)
BU21 (Rassegna di Drammaturgia
Contemporanea - XXIII edizione)
testo Stuart Slade
versione italiana Natalia Di
Giammarco
con Daniela Duchi, Mario Cangiano,
Fabrizio Costella, Valentina Favella, Silvia Napoletano, Francesco
Patané
regia Alberto Giusta
prodotto dal Teatro Nazionale di Genova
La XXIII edizione della Rassegna di Drammaturgia Contemporanea prosegue con:
> “Aeroplani di carta” di Elise Wilk, @ Sala Mercato dal 30 maggio al 9 giugno;
> “Le solite ignote” di Rafael Spregelburd nell’adattamento di Manuela Cherubini, @ Piccola Corte dal 7 al 17 giugno;
> “Il cerchio rosso” di Vitaliano Trevisan, @ Sala Mercato dal 13 al 23 giugno;
> “L’angelo di Kobane”di Henry Naylor, @ Piccola Corte dal 20 al 30 giugno.