Genova, 08/06/2018.
Nella drammaturgia dell'autore argentino Rafael Spregelburd non è mai tutto vero anche se verisimile e non è mai tutto falso anche se surreale. Quando il verisimile e il surreale si incontrano - l'abbiamo visto anche in Fine dell'Europa lo scorso ottobre al Duse - l'universo della narrazione entra in un'atmosfera favolistica, parodica, iperbolica eppure riesce a mantenersi ancorato a ciò che concretamente riconosciamo come nostro vissuto. Banalizzando, l'alchimia iperealistica che va in scena tiene conto degli umani come esseri tragicomici e come spettatori portati a ridere delle disgrazie altrui, quindi vicendevolmente curiosi e perversamente paghi del male che accade agli altri - che un giorno poi siamo noi. Questa drammaturgia non si ferma mai quindi di fronte a un fatto per restituirne un pathos greve o solo comico, per andare in profondità, per ragionare delle motivazioni o indagare le componenti emotive. No, si sta sempre in superficie, eppure si vede sotto, come dalla vetrina di un acquario. L'autore ritocca e aggiusta ogni evento (preferibilmente corale) sporcando la rappresentazione perché questa restituisca tutta la sguaiattaggine che la vita vera trasuda. Acassuso (2006) da cui Manuela Cherubini trae, adattando e traducendo, il suo Le solite ignote, non fa eccezione. Lo spettacolo, la terza produzione Teatro Stabile di Genova dopo BU21 e Aeroplani di carta all'interno della 23esima Rassegna di drammaturgia contemporanea, è in scena fino al 16 giugno 2018, sul palcoscenico della Piccola Corte.
Da traduttrice, regista e "importatrice" del lavoro di Spregelburd in Italia, Cherubini interviene per adattare il materiale drammaturgico al contesto italiano e così le interpreti masticano una lingua pulita, un italiano senza inciampi di traduzione, senza tutte quelle pose linguistiche ereditate dai doppiaggi TV e cinematografici. Oltre alla lingua, il contesto romano, con riferimenti a vie e piazze, ci chiama a guardare alla nostra realtà e non a un altro mondo, il che sembra anche un messaggio: questo accade là esattamente come qua. Qualche altra licenza sul testo Cherubini sembra prendersela a partire da una struttura organizzata a quadri che, seppur mantenuta, viene ricalcata da una regia che agisce tramite una voce fuori scena utilizzata per sottolineare ogni stacco/buio con un breve commento, con un intervento descrittivo (sempre accompagnato da un effetto luce) che ci porta nella dimensione onirico-visionaria delle maestre intente - in posizione estatica - a immaginarsi romaticamente in ostaggio di moderni Robin Hood impegnati a svaligiare una ricca banca.
Si guarda dentro la stanza delle maestre di una scuola primaria in cui ci sono un gran numero di ripetenti che potrebbero già, forse, frequentare le medie o addirittura il liceo. Si guarda nei comportamenti estemporanei di figure stereotipate e chiuse in piccole caratterialità tutte frutto del misero ambiente scolastico in cui sono costrette dove manca tutto e tutto è inadeguato. Non c'è una grande introspezione, si spiega poco, si capisce talvolta ancora meno, ma esattamente come nel reale alle volte entrando all'improvviso in un gruppo: non è dato conoscere proprio tutto di tutti. Il degrado quello sì è palese, manifesto, diffuso e pervasivo. Il degrado strutturale, istituzionale, dell'agire umano, culturale è il grande fulcro dell'azione e dell'universo rappresentato. Tutto si spiega e si motiva a partire dalla scarsità che è origine del degrado. Scarse sono le risorse, le presenze, le conoscenze, le esperienze sia nell'ambito delle relazioni umane che rispetto a una dimensione economica.
I margini sono quelli del quotidiano nelle dinamiche tra maestre (Giulia Chiaramonte, Elena Lanzi, Orietta Notari, Laura Repetto, Francesca Santamaria Amato), e la direttrice (Deniz Ozdogan in una interpretazione davvero centrata), la sua vice (Lisa Lendaro), la responsabile amministrativa e tesoriera (Irene Villa) e una bidella o personale non-docente (Chiarastella Sorrentino).
Non ci si sposta dalla stanza "insegnanti" in cui tutte a un certo punto del giorno finiscono per ritrovarsi, approdare, accasciarsi, rifugiarsi, fuggire o irrompere per chiedere aiuto. Chi entra a scuola, chi finisce la propria lezione, chi fa ricevimento, chi amministra cercando la complicità delle altre, chi non sa come gestire la classe. Le nove interpreti vestono ognuna una propria "mascherina": Giulia Chiaramonte, balbuziente, è la logopedista e insegnante di sostegno sempre in preda a una sindrome di persecuzione (cocciutamente resa, con un tutto tondo in cui Chiaromonte trova una bella sintesi tra dizione e mimica); Elena Lanzi è semplicemente ostile alla nuova venuta; Orietta Notari, la più d'esperienza del gruppo, più avanti con gli anni, più "assente" mentalmente da quello che sarebbe il suo ruolo, tutta presa com'è a sopravvivere a un presente di cui è esausta (abile Notari nel giocare su vuoti e imbarazzi e sul logorio del personaggio); Laura Repetto, la novellina che ce la mette tutta e troverà un'occasione di riscatto inaspettata (il che le offre un po' di agilità in un ruolo moncromo); infine, Francesca Santamaria Amato è la sportivona che tutte ammirano per la sua bellezza, semplicità e la sua pandina, sinonimo di autonomia.
Fa eccezione Irene Villa che è chiamata a coprire due ruoli: l'ossessiva e fragilissima tesoriera e una "tipica" madre, che la direttrice considera una "cliente" importantissima perché ha sei figli. Villa conferisce a entrambe piena autonomia e diversa caratterialità fisica e vocale, trovando nella seconda un'occasione comica pienamente sfruttata. Un unico interprete maschile si fa avanti quasi in chiusura è Maurizio Bousso nei panni di un "fuori classe" (Edgar Fabiani): troppo grande per essere ancora alla scuola primaria, è considerato un asso nel calcio e per la preside è un investimento che potrebbe permetterle di recuperare quei fondi che non ha per la sua scuola.
Una narrazione corale e, come nello stile di Spregelburd, un teatro che importa i codici della telenovela ripensandoli per un'azione in presenza che però risulta sempre mediata (dalla regia esplicita, dal tono autoironico che pervade tutte le battute, dai refusi nell'intreccio), fitta di micro-eventi per lo più insignificanti ma perfetti per accumulare tracce di racconti sconnessi, immaginati, vissuti a metà, portati in scena come frammento e pure carichi di tutto quel vissuto che resta fuori dal quadro, fuori scena. Una commedia umana che ha più le caratteristiche di un gioco di bambole che quella di un teatro realistico. Intelligentemente divertente, forse persino troppo tanto da farci dimenticare le tante incoerenze, l'abuso delle armi, la violenza gratuita e la giustizia sommaria e, persino, un morto in scena. Una scrittura, forse proprio per questa sottile abilità, acuta perché capace di azzerrare il lato critico delle cose e perché ci riporta là dove ogni giorno ci ritroviamo: di fronte a notizie agghiaccianti che ci hanno reso ormai insensibili ai peggiori orrori. Non è forse vero?
Da vedere.
@ Piccola Corte - Stabile di Genova
6-16 giugno 2018 - ore 20.30, giovedì ore 19.30,
domenica e lunedì riposo
Le solite ignote
da Acassuso di Rafael Spregelburd (Italia-Argentina)
traduzione e adattamento Manuela Cherubini
con Maurizio Bousso, Giulia Chiaramonte, Elena Lanzi, Lisa
Lendaro, Orietta Notari, Deniz Ozdogan, Laura Repetto, Francesca
Santamaria Amato, Chiarastella Sorrentino, Irene Villa
regia Manuela Cherubini
produzione Teatro Stabile di Genova