Silverwood Lake: un fumetto che dà voce agli ultimi

Magazine, 12/01/2017.

VADO VIA DI MIA SPONTANEA VOLONTÀ
NON CERCATEMI

Un biglietto, silenzio per diciassette anni, poi una telefonata interrompe una vita costruita sulla mancanza di un padre fuggito, una telefonata per comunicare che quel padre è stato ritrovato. È in ospedale.

La vicenda di Diego Lane il protagonista del volume Silverwood Lake di Simona Binni (Ed Tunué, 168 pp, 16,90 euro), inizia proprio alla fine di quella telefonata.

Diego reagisce come un qualunque figlio abbandonato reagirebbe. È arrabbiato. Quel padre lui lo ha rinnegato da tempo, diciassette anni sono una vita, assieme alla rabbia che riaffiora, arriva la frustrazione della consapevolezza di avere mille domande (perché? Perché? Perché?...) alle quali non avrà mai risposta, non da suo padre comunque, in stato catatonico, assente anche se tornato.

La necessità di avere risposte lo spinge a seguire il consiglio di Patty, la sua migliore amica; utilizzare la propria professione, è un giornalista, per guardare quel che gli è successo da fuori, esplorando una specie di campeggio dove un uomo, Ted, ospita persone che, come suo padre, ad un certo punto han lasciato alle spalle tutto quel che avevano. Vinti.

Immergersi in quel mondo è il messo per elaborare un lutto bianco e, forse, comprendere se stesso e il genitore che ha perso da ragazzo. Un tema tutt’altro che semplice quello trattato da Simona, perché racconta dei disperati in un racconto corale, facile ritrovarci lo spirito di De André in questa scelta, mostrandoli prima in modo superficiale per poi approfondirli, passando dalla percezione alla conoscenza.

Simona, psicologa, ha una formazione che la aiutata ad approcciare al tipo di racconto che ha allestito, ma non solo. «Ho sempre disegnato le mie storie, fin da molto piccola. Poi – racconta - più che la laurea è stata la curiosità che a spingermi a scrivere, ma soprattutto a fare ricerche su questo tema. La sofferenza e il disagio altrui, mi hanno sempre colpito nel profondo. Mi sono chiesta spesso cosa ci fosse dietro ad una situazione al limite come vivere per strada, dormire sotto una coperta su un marciapiede, cosa separi alcune persone dal resto del mondo».

L’approccio di Simona è dai due lati di quel confine tra mondi apparentemente discontinui, spesso si parla di Noi e Loro come si trattasse di persone divise da un confine reale, per costringerli a parlare tra loro.

In questo senso risulta efficace il modo in cui viene data forma al protagonista. È facile ritrovare in Diego il biasimo che spesso accompagna senzatetto, barboni, disperati. In molto casi, quotidianamente, l’empatia lascia spazio alla repulsione, quelle persone appartengono ad un mondo alieno – io non farei mai quella vita. Si trovassero un lavoro invece che vivere per strada che respingiamo perché non lo comprendiamo e comunque è molto facile sia temuto e quindi isolato.

«La mia ricerca – aggiunge – riguarda anche cosa provoca in noi la vista di persone che si arrendono alla vita, per cause di forza maggiore o per debolezza. La solitudine, la paura stessa della solitudine, la paura del vuoto che genera angoscia. Per approfondire questo tema ho visto film, documentari, letto articoli, ma soprattutto mi sono guardata tanto intorno. Siamo pieni di situazioni simili. Le nostre città traboccano sofferenza e indifferenza».

A Silverwood Lake è come vivere in un rifugio immaginario, separati da tutto il resto. Chi arriva qui fugge da qualcosa e non importa se a crollare sia stato il mondo fuori o quello che ha dentro.
Le parole del diario di Diego sono il mezzo per osservare quel che circonda il protagonista, per osservare la sua disperazione. Diego non comprende gli alieni che incontra, ma mentre li osserva sente che anche il suo di mondo sta andando in pezzi; immerso in un mondo di scelte estreme, il fragile velo costruito sulla propria disperazione si svela, e viene investito dal dolore dell’abbandono, dalla solitudine.

Diego aiuta ad esplorare gli ospiti di Silverwood Lake, i veri protagonisti. Scelte, sconfitte, decisioni. Per alcuni la fuga è stata frutto di una sconfitta, per altri un atto di coraggio, per qualcuno un destino. Tutti sono molto di più di quello che sembrano, Diego stesso, che arriva come cronista alla ricerca di risposte per se stesso trova molto di più, una crescita che avrà un prezzo enorme.

«Realizzare questo libro è stato bello – racconta Simona -. E difficile. Una sfida nuova che mi ha aperto nuovi orizzonti, sia da un punto di vista grafico, che narrativo, dandomi maggiore libertà di espressione». «Le persone – continua - hanno bisogno delle storie. Abbiamo tutti bisogno di perderci e ritrovarci nelle storie».

Il volume ha un modo unico di esplorare i rapporti tra persone per mostrare che spesso, come capita con gli iceberg, la realtà che definisce una persona è molto di più di quello che la stessa mostra. «Spesso – aggiunge l’autrice - capita allontanarsi alla ricerca di risposte per poi scoprire che erano davanti a noi. In fondo siamo tutti uguali nel nostro bisogno di sognare e sentirci consolati».

La conoscenza di storie imbevute di umanità, rese in modo naturale, eleva la consapevolezza del protagonista ed investe il lettore con potenza.

La scoperta della scelta finale di Diego non è solo accettata ma anche condivisa perché dalla sua posizione di prestigio, il lettore ottiene quelle risposte che Diego anelava comprendo che certe risposte non sono poi così importanti.

Spesso non serve sapere per decidere, occorre sentire. Da un punto di vista grafico, è intrigante il modo in cui a colori tenui del tempo presente si alterni un color seppia per coniugare il passato prossimo e remoto degli ospiti del campeggio.

Convince anche la scelta di chiudere il volume con una telefonata, che chiude il cerchio aperto all’inizio. Una pennellata di speranza che arriva dopo aver esplorato e condiviso tanta vita vissuta e persa.

Ma in fondo – scrive Diego - ogni vuoto non è che la memoria di un pieno.

Di Francesco Cascione

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