Magazine, 11/04/2017.
Avvertenza: accetto ogni tipo di commento e critica al mio lavoro su questo volume ma, non accetto alcuna messa in discussione al lavoro di Gigi Cavenago. Gigi ha settato uno standard con cui confrontarsi per gli anni a venire [Roberto Recchioni – 21 marzo 2017]
L’uscita di Mater Morbi, a ridosso delle feste di Natale 2009, è stata un evento importante per quanto riguarda al vita editoriale di Dylan Dog. Non si trattava della prima storia sceneggiata da Roberto Recchioni, ma è stata indubbiamente la prima nel quale si intravedeva il tipo di Dylan che Roberto cercava, e che sta riportando sulle pagine delle serie da quando ne è diventato curatore.
È a pieno titolo una di quelle storie entrate di diritto nella mitologia del personaggio, una di quelle nelle quali la distanza tra componente allegorica e personale sono praticamente azzerate. Scorrendo la trentennale storia editoriale del personaggio creato da Tiziano Sclavi tutte le storie che hanno avuto il potere di attaccarsi al cuore dei lettori – a costo di dylaniarlo – non si limitavano a soggetto, sceneggiature e disegni; andavano oltre, diventando dialogo serrato tra autore e lettori.
Ecco, Mater Morbi per un lettore di Dylan Dog era questo, era il ritrovare uno dei propri personaggi preferiti in un momento di fragilità – la malattia è forse l’esperienza peggiore e più intima che si possa condividere – e di provare un’empatia che pochi tra i personaggi del mondo di carta pretendono. Dylan Dog è stato dal primo momento sinonimo di fragilità – umana – prima che di avventura. Un personaggio che mancava così tanto che chi lo leggeva ne voleva semplicemente di più.
Roberto è solito asserire che Dylan è un personaggio che ha bisogno di un tributo molto intimo, di sangue, perché la sua scrittura trasudi la passione così intensa da saper diventare esperienza di lettura. Tale tributo è presente anche in Mater Dolorosa, il numero che se da un lato ha celebrato il trentennale di Dylan Dog dall’altro ha messo le basi per quella che è la visione che il suo curatore ha del Dylan prossimo venturo.
Così come l’onere del primo capitolo era stato condiviso con Massimo Carnevale, per il seguito Roberto si è affidato al talento di Gigi Cavenago. «Trovo che Dylan Dog per sua natura, sia un fumetto molto allegorico», racconta Gigi, intervistato in occasione dell’uscita di Mater Dolorosa in formato volume edito da Bao (162 pp, 20 euro), «una facciata per raccontare qualcosa di più profondo e viscerale. È la natura del personaggio, della serie, e prima di tutto del suo creatore. Per raccontare quello che c’è sotto la superficie, bisogna guardare un pochino nell’abisso e, com’è risaputo, il rischio è che l’abisso alla fine guardi dentro di te».
Il volume mette in luce tutto il talento di chi lo ha disegnato. Tavole che sono una festa per gli occhi e che accompagnano la storia con una forza unica tanto da essere considerato, graficamente, paradigmatico. «Questa è l’opinione di Roberto, un’opinione davvero lusinghiera, che Roberto stesso ha sottolineato con il post pubblicato in occasione dell’esordio del volume: lo ringrazio, ma il mio giudizio non può che essere un po’ più cauto, se non altro perché il ruolo di paradigma mi spaventa».
Se da un lato la capacità di dare vita alle tavole era una qualità che Cavenago aveva già mostrato nelle sue precedenti illustrazioni, in questo albo, che racchiude in novantaquattro tavole un anno di lavoro, raggiunge livelli con i quali chiunque, dopo di lui, sarà inevitabilmente costretto a confrontarsi.
«Collaboravo già con Roberto sulla prima stagione di Orfani, e, nel penultimo numero della serie, mi aveva proposto di realizzare una breve sequenza onirica con il mio stile pittorico. Trattandosi di sole cinque pagine avevo raccolto la sfida, le tavole avevano degli elementi comuni a Mater Morbi (ritorna ad esempio l’iconico albero delle pene cantato da Dan Simmons in Hyperion) e a Roberto erano piaciute subito. È stato allora che mi ha proposto di lavorare con lui sul progetto di un sequel/prequel di Mater Morbi, che poi si è evoluto in qualcosa di più».
Tra l’annuncio della storia che non solo si legava ad un istant cult come Mater Morbi, e la sua realizzazione, tanti i passaggi. Il ritorno alla Madre aveva la grande ambizione di non solo di rilanciare la mitologia di Dylan Dog ma anche quella di stendere basi solide su cui costruire un nuovo ciclo di storie.
«L’idea era di fare un fumetto interamente pittorico (in linea con le copertine con cui Gigi ha accompagnato la serie Old Boy di Dylan, ndr) ma io ho preferito trovare una via di mezzo, qualcosa che mi permettesse di raccontare in maniera fluida senza rallentamenti, vale a dire senza che lo sguardo del lettore si soffermasse troppo su inutili dettagli dell’immagine, per poi farlo letteralmente esplodere in qualcosa di più elaborato dove necessario». Un albo che, nella sua realizzazione ha permesso a Gigi di lavorare sul suo stile.
«Questo albo ha inciso parecchio sul mio approccio al disegno; a livello di tecnica sono riuscito a creare un ponte tra due stili che utilizzavo già da prima, vale a dire lo stile pittorico delle copertine e quello più al tratto dei fumetti. Inoltre mi ha fatto scoprire un nuovo approccio al colore». Se Orfani è stato laboratorio per quanto riguarda un approccio al colore nuovo, per la Bonelli in Mater Dolorosa Gigi raccoglie tutto quanto seminato nella serie di Recchioni e Mammucari.
«Dal punto di vista lavorativo mi ha dato una certa fiducia il poter constatare di essere riuscito a portare a casa un compito che credevo impossibile. La mole di lavoro, la responsabilità e i tempi relativamente stretti mi hanno costretto ad avere fiducia nel mio lato più istintivo. Quando ho finito l’albo ho pensato che il grosso era fatto, ma la vera soddisfazione è stato vedere il prodotto finito, letterato e stampato». Il lavoro finito e la veste voluta da Bao per il volume mettono in risalto tratto e colori. La vasta appendice arricchisce di contenuti quello che l’albo racconta. La veste invece ne valorizza ogni aspetto, trasformandolo in un oggetto che è bellissimo leggere, sfogliare e annusare. Quello che emerge a lavoro finito non è semplicemente un albo magistralmente illustrato ma un vero e proprio book artistico nel quale perdersi alla ricerca dell’immagine più evocativa, più emozionante o, semplicemente, più bella.
«La mia preferita in assoluto», racconta l’autore, «è la seconda, perché, dopo tanta ricerca di stile, in quella tavola, nella quale si mostra il laboratorio del padre di Dylan all’interno della nave, c’era la risposta che stavo cercando. Stilisticamente parlando è partito tutto da quelle due vignette. Un’altra è quella con un Dylan malaticcio che sta pedinando un killer vestito di bianco, che riporta a Memorie dall’invisibile. C’è anche la pagina in cui Mater Morbi spiega al piccolo Dylan che il mondo è destinato alla corruzione della malattia».
Da un punto di vista squisitamente stilistico l’albo destruttura la gabbia bonelliana trasformandola in qualcosa di nuovo che traccia le linee per uno stile personale, vero, ma anche paradigmatico, un modo nuovo di intendere e raccontare il fumetto popolare italiano. «A pensarci, devo dire che ce ne sono molte che mi hanno dato una certa soddisfazione, tra tutte, le varie splashpage che si susseguono nel finale».
Il ricorso alle splashpage – tavole che occupano tue pagine dell’albo in un'unica enorme immagine – è comune allo ritmo che Roberto impone ai suo albi. In Mater Dolorosa il loro ricorso non è voluto solo per una questione ritmica ma anche e soprattutto per ricercare una forte reazione emotiva. Una corrispondenza tra autori e lettori, invitati a tuffarsi in vere e proprie feste di immagini e colori, una delle quali, a chiusura, talmente evocativa da valere quasi da sola l’intero volume.
«La storia di Roberto affronta un sacco di temi forti che necessitavano di sottolineature altrettanto importanti. Mater Dolorosa ha un respiro molto ampio nell’universo di Dylan, abbraccia molti aspetti del mondo dell’Indagatore, e per questo gli abbiamo dato una veste da kolossal. Roberto è uno sceneggiatore che ha un occhio molto attento all’aspetto visivo, conosce la potenza che le immagini possono avere, a volte più di mille parole, e con quelle Splash mi ha invitato a nozze».
Come per molti, anche per Gigi l’arrivo alle pagine di Dylan è avvenuto dopo averne amato le storie. Tante quelle che in qualche modo ne hanno segnato la formazione, tante quelle amate. «È un lungo elenco, la prima che ho letto è stata Lontano dalla luce, imprescindibile perché, come tutti sanno, la prima volta non si scorda mai. Poi ci sono i classici come Morgana, Memorie dall’invisibile, Johnny Freak, Golconda, Finché morte non vi separi, Tre per zero, Gran Guignol, Phoenix; senza dimenticare, naturalmente, Mater Morbi. A pensarci l’elenco è ancora lungo. Difficile anche capire in che modo mi abbiano ispirato o segnato, perché la serie sposa assieme così tanti autori, filoni narrativi e stili, che bisognerebbe scriverci un trattato».
La realizzazione dell’albo e il suo impatto ha convinto la Bonelli a promuovere Gigi Cavenago come copertinista, il terzo nella trentennale storia di Dylan. Gigi segue Claudio Villa e Angelo Stano guadagnando così, a pieno merito, il titolo di maestro. Inevitabile chiedersi come arrivi una notizia del genere e quale effetto abbia. «Una telefonata. Roberto mi ha chiamato sul cellulare e mi ha dato la notizia. Ricordo che a quel punto mi formicolavano le braccia». Il talento di Gigi è quindi possibile ammirarlo sulle copertine mensili, tocca invece aspettare qualche mese per vedere una sua storia.
«Lucca 2017», confida, «ma non posso dire di più!». Stay Tuned.
Di Francesco Cascione