Magazine, 13/02/2018.
Quando guardi nell’abisso, l’abisso guarda dentro di te
(Friedrich Nietzsche).
Il concetto di mostro, la sua stessa parola, vive
da sempre su un crocevia sospeso tra suggestione e curiosità,
terrore e avventura. Il mostro è il prodigio, il fuoco per gli
uomini delle caverne, ma anche terrore atavico come i draghi per
gli uomini del medioevo.
Pochi altri concetti racchiudono allo stesso tempo timori e fascino, sfida e voglia di fuggire. Dal Leviatano a Dracula passando per Moby Dick fino ad arrivare ad icone cinematografiche come Freddy Krueger o lo Xenomorfo alieno di Ridley Scott, da sempre la fantasia tradotta in letteratura o in arte figurativa ha indagato le paure umane cercando di dar loro forma, cercando una strada per comprenderle e, più semplicemente, elaborarle.
Spesso il mostro è una manifestazione esterna di un malessere intimo; uno stato di inquietudine che diventa ricerca di un nemico, di un capro espiatorio da sacrificare auspicando la propria sopravvivenza. Lo individuiamo. Lo sfidiamo. Il passo successivo, comprensione o secolarizzazione del nemico definisce la nostra crescita.
Ad esempio il buio è rappresentazione tangibile di come, da bambini, sia facile individuare un contenitore nel quale chiudere le nostre paure. Superare la paura del buio, o provarci, è una delle prove più grandi che affrontiamo.
Il buio però non è solo quello che ci avvolge in una stanza senza luci, è anche uno stato d’animo, un lato oscuro nel quale dimora il nostro peggio, l’abisso che ci esplora e condiziona di cui parla Nietzsche nel suo celebre aforisma.
Emiliano Pagani e Bruno Cannucciari hanno dato una forma a quell’abisso dell’anima nel quale tutti possiamo ritrovarci, una forma che proprio dell’abisso è creatura: il Kraken.
Nell’immaginario comune il Kraken, il più grande e impressionante animale del creato, incarna perfettamente la rappresentazione di una paura atavica – una presenza nascosta negli abissi marini – e allo stesso è oggetto di sfida per antonomasia per chiunque sia tanto pazzo, o disperato, da volerla intraprendere.
Il volume realizzato dalla penna di Emiliano Pagani e dai pennelli Bruno Cannucciari, Kraken, appunto (Ed Tunué – 104 pp, eur 16,90), racchiude una riflessione profonda sui rapporti tra le persone, sulle paure che regolano questi rapporti, sulla paura che diventa occasione di incontro tra individui e perfino motore sociale, chiave di volta che regge gli equilibri di un gruppo.
La Paura condiziona scelte, azioni o omissioni; non solo fa scappare, ma che diventa muro che erigiamo tra noi e l’altro, l’alieno, il mostro, l’essere che non comprendiamo, e di cui auspichiamo senza vergogna la scomparsa.
Kraken è un volume a fumetti nel quale l’avventura diventa allegoria e che si presta, con sapiente equilibrio, ad una lettura su stratificata che non lascia indifferenti e affatto delusi a qualunque livello la si intraprenda.
Damien è un ragazzo autistico che ha visto morire in mare suo padre e suo fratello. È stato il Kraken. Dice. Dougarry è invece un giornalista documentarista dell’impossibile, un cialtrone, che il mostro lo ha nel cuore. Selagues è un paese di pescatori nel quale il pesce è sparito. È stato il Kraken. Dicono.
Ciascuno dei personaggi ha un mostro con cui fare i conti, ciascuno ha un nemico da inseguire, affrontare e distruggere in un gioco di incastri che sembra senza fine, e nel quale nessuno si scopre completamente innocente o non assoluto carnefice.
Selagues è metafora dell’animo umano, lo spazio nel quale convivono aspetti tra loro in conflitto continuo: rabbia e solidarietà, odio e amore, comprensione e superstizione, paura e coraggio.
La lettura del volume, aperta da una spettrale Parigi immersa in una pioggia che pare trasformarla in una città degli abissi, è accompagnata dal disegno delicato e dettagliato di Cannucciari; il suo tratto occupa tutto lo spazio che la tavole concedono conferendo alle stesse uno stato di ansia che si dipana lungo tutta la lunghezza del volume.
La sua colorazione accompagna il tratto con sapiente maestria. La scelta degli autori non ammette incertezze e la scelta di una monocromia serrata – l’effetto è quello di una palude livida - veste le tavole di sensazioni tangibili come l’odore di alghe marcite sulla riva del mare, e che inspessisce il racconto.
Il lettore, come nella lettura di una monster story, resta sospeso tra voglia di comprendere e paura di farlo. A tenere compagnia non è la paura di per sé però, ma il fatto che sia facile riconoscersi in essa. Ovviamente non mancano i colpi di scena, tali e tanti da render il racconto eccellente sotto il profilo dell’intrattenimento e alcune tavole sono eccellenti per come si sviluppano; nel volume storia e leggenda si rincorrono come superstizione e pregiudizi.
Dougarry si trova suo malgrado al centro di una storia che fatica a comprendere, teme le risposte che cerca ma teme soprattutto le domande.
Il Kraken è come una finestra sul proprio abisso, un mondo intero fatto di pregiudizi e timori, e che non concede sconti, e la sua lettura è un esperienza dalla grande intensità emotiva, ma anche capace di aprire a riflessioni importanti su quale sia il nostro rapporto con la paura e che spinge a domande le cui risposte non necessariamente potrebbero piacere.
In fondo – dice a un certo Dougarry - ogni epoca ha i suoi mostri a cui sacrificare la propria innocenza in cambio di speranza e buona sorte, no?
Di Francesco Cascione