Milano, 14/02/2017.
Dopo il suo esordio letterario con Corpi di Gloria, con cui ha vinto il Premio Rapallo Carige 2014 come Opera Prima, e il racconto Tutti i luoghi del mio abbandono, pubblicato nella raccolta Quello che hai amato, Giuliana Altamura ha pubblicato il 9 febbraio il suo nuovo romanzo L'orizzonte della scomparsa (Marsilio, 2017, 221 pp, 17 euro).
Abbiamo intervistato l'autrice, pugliese ormai milanese d'adozione, per farle alcune domande sull'ultimo lavoro e sul suo rapporto con la sua città. Ecco cosa ci ha raccontato.
Di cosa parla questo tuo nuovo romanzo?
«L’orizzonte della scomparsa racconta la storia di Christian e Lana. Christian è un pianista pieno di talento, tormentato dal suo passato oscuro, approdato a Montréal per studiare in un’università prestigiosa. Lana è una ragazza di Orlando dall’incredibile capacità di catalizzare le fantasie di chi la osserva, invitata a partecipare a un docu-reality per modelle a Parigi. A unire le loro vite così distanti c’è Blaxon, un personaggio misterioso che entrambi hanno conosciuto in rete e che a un certo punto scompare, continuando però a giocare coi loro fantasmi più segreti».
Su quali tematiche ai voluto puntare l'attenzione con questa trama misteriosa?
«Il romanzo cita Baudrillard per indicare quella sottile linea di confine fra il reale e il virtuale su cui tutta la vicenda prende forma. Ed è proprio nella dinamica fra forma e caos, ordine e disordine, desiderio di controllo e desiderio della perdita di controllo che si gioca tutta la vicenda, riflettendo sul nostro mondo iper-connesso e sul significato che l’arte può assumervi».
C’è anche un po’ di Milano in questo libro...
«Christian, il protagonista maschile, è nato nella provincia abruzzese, ma da giovanissimo si è trasferito a Milano per studiare al rinomato Conservatorio. Ha sofferto la solitudine in quella città che ha sentito da subito come buia e inospitale, ma dove allo stesso tempo ha avuto l’occasione di ascoltare per la prima volta Martha Argerich in concerto, evento fondamentale per la sua carriera, una vera e propria rivelazione».
Puoi dire di avere un rapporto simile a quello del tuo personaggio con questa città?
«Io mi sono trasferita a Milano a diciott’anni, qualche anno dopo rispetto a Christian, e anche per me all’inizio non è stato semplice: Milano è una città dura, difficile, dove ci si può sentire realmente molto soli. Allo stesso tempo, però, è una città che premia le persone che sanno cosa desiderano, che hanno in mente un obiettivo preciso. Io ho sempre saputo cosa volevo e Milano mi ha regalato un numero di possibilità e di stimoli che altrove non avrei ricevuto. E poi possiede quel genere di bellezza a cui bisogna dare tempo per mostrarsi. È nascosta, non è urlata, ma quando si rivela è difficile dimenticarla».
Parli del capoluogo lombardo con affetto, quaIi sono i tuoi luoghi preferiti di Milano?
«Abito vicino a Porta Venezia ed è la zona che preferisco: i palazzi liberty con i loro scorci di cortili e statue di marmo, i giardini Indro Montanelli e ancora di più quelli di Villa Reale. Adoro poi la biblioteca di Affori col suo parco, uno dei luoghi dove lavoro più spesso. Ma sono anche un’appassionata del nuovo sky-line e delle architetture visionarie di Porta Nuova».
Torniamo al tuo libro, hai in programma già alcune presentazioni?
«Sì, inizio proprio da Milano: il 16 febbraio sarò alla libreria Lirus alle 18.00 per la prima presentazione del libro, in compagnia di Violetta Bellocchio. Il 24, invece, tornerò a Bari e l’appuntamento è in Feltrinelli, sempre alle 18.00. Perché va bene Parigi, Montréal e Milano, ma è sempre bello tornare a casa».
Di Simone Zeni