Genova, 29/05/2023.
È possibile parlare di cancro con leggerezza? Da cosa guariamo se la malattia che ci affligge è incurabile? E infine, si può guarire senza essere malati?
Anna Solaro, attrice, regista e formatrice al Teatro dell'Ortica di Genova, dopo aver scoperto di avere un cancro ai polmoni - al quarto stadio e non operabile -, per tre anni ha scelto di raccontare, quasi ogni giorno, la sua malattia a chi la seguiva sulla sua pagina Facebook. Con le sue parole Anna, forse inaspettatamente ma inesorabilmente, ha attratto a sé persone malate, così come i loro familiari; ma anche chi, malato ma non nel corpo, riceveva le parole di Anna come una cura per l'anima.
«Non ho più chiesto né chiedo del mio tempo. Lo vivo e me lo costruisco»: così Anna Solaro ha attraversato i suoi ultimi tre anni di vita con una consapevolezza che ha disarmato e allo stesso tempo strutturato molti lettori e lettrici dei suoi post. Una cura, una carezza che Anna faceva a se stessa e a chi, in punta di piedi, entrava a far parte della sua quotidianità.
Oggi che Anna Solaro non c'è più – se ne è andata lunedì 28 novembre 2022 – le sue parole leggere e intense sono ancora vive, ma si sono trasformate: da pensieri raccolti in rete sono diventate carta profumata da tenere accanto, sul comodino. È uscito il libro Ho messo gli stivali gialli, edito da Il canneto. E nel sottotitolo del libro – Appunti da un viaggio che non volevamo fare – c'è un mondo; in quel volevamo compaiono gli affetti di Anna; perché in quel viaggio lei non è mai stata sola.
«Questo è un libro necessario per ricordare e portare avanti», racconta Mirco Bonomi, attore, regista e direttore artistico del Teatro dell'Ortica, marito di Anna. Con lei ha avuto una figlia, che oggi ha 28 anni: «Io ed Eugenia stiamo scrivendo molte lettere ad Anna; le abbiamo chiamate Lettere d'amore mai spedite. Stamattina le ho scritto che, a volte, riesco addirittura a sentirmi felice, perché a me piace il mio passato. Ed Anna è il mio passato. Ma sono anche nel futuro: per me questo libro, insieme al laboratorio Versi di cura, nato grazie ad Anna e dedicato ai malati oncologici e alle loro famiglie, e al progetto Stranità, il laboratorio di teatro sociale che coinvolge pazienti psichiatrici seguiti dalla Salute Mentale della ASL3 genovese, rappresentano il mio modo per continuare a portare Anna con me».
Il laboratorio Versi di cura prosegue «senza e con Anna», sottolinea Mirco: «Insieme a Giancarlo Mariottini, ma anche con mia figlia Eugenia, portiamo avanti quella che per Anna è stata una scommessa: può una malata oncologica mettere in piedi e condurre un laboratorio di teatro sociale? Può farcela o ne esce devastata? Anna ha vinto quella scommessa. Per me oggi è un'eredità. Questo progetto è un gruppo di auto-aiuto, ma non solo: è un gruppo di espressione artistica, di scrittura autobiografica. Perché tirare fuori è importante. Questo laboratorio è un cantiere aperto. Ci mettiamo in gioco e abbiamo da poco cominciato le prove per uno spettacolo, che sarà pronto ad ottobre 2023. Il nostro racconto partirà dalla sala d'attesa dell'ospedale, un luogo straniante, nel quale ci si sente estranei, perché lì si diventa un numero».
Ma chi era Anna Solaro? «Anna era una persona ricca di strumenti e sensibilità. Si è costruita tutto da sola, aveva una grande capacità di ascolto e di riflessione. Non saliva mai sul pulpito, ma imparava dalle persone che seguivano i suoi laboratori. Anna era sempre gentile, ma era anche una delle persone più determinate che io abbia mai conosciuto. E non faceva sconti a nessuno. Anna si sporcava le mani e si è sempre dedicata agli ultimi perché voleva che ognuno si prendesse le parole e ne facesse l'uso che voleva farne. Non voleva essere chiamata maestra. I miei ricordi di Anna sono tantissimi, ma se dovessi dire quali sono quelli più vivi in me, posso rispondere: i primi tre anni - dal fidanzamento al matrimonio, e poi la nascita di mia figlia - e gli ultimi tre anni. Perché a volte la nostra storia è finita nelle curve, come capita a tutti, però gli anni della malattia hanno avuto un'intensità, un'intimità, una compartecipazione tali da farmi sperare di avere imparato anche io qualcosa da quello che è successo».
Per Anna, e forse anche per chi le è stato accanto, la malattia è stata dunque anche maestra: «Il legame tra noi in famiglia è cresciuto ed Anna mi ha depurato da molte delle mie tossine. Avremmo voluto avere più tempo, certo. Avevamo ancora tante idee e desideri da realizzare. Anna diceva: ho un cancro e mille progetti. Non era una frase ad effetto».
Nel suo libro Anna Solaro racconta come sia cambiata la sua vita da quando ha saputo di essere malata: «All'inizio in lei c'era sconforto: si era resa conto che il suo tempo era a termine. Però in lei non c'è mai stata rabbia». Anna ha scelto di raccontare il proprio viaggio su Facebook. In tanti la seguivano, sia amici che persone sconosciute: «All'inizio la sua scelta mi ha stupito, ma poi ho capito: il suo è stato un romanzo epistolare, scritto utilizzando un metodo contemporaneo».
Questo libro non vuole essere un attacco alla malasanità, ma di certo racconta come stanno le cose e in che modo potrebbero – e dovrebbero – cambiare: «Per me è importante portare in giro le parole di Anna per raccontare come, negli ospedali, dovrebbero cambiare anche le parole e, soprattutto, dovrebbe entrare l'empatia. A noi piacerebbe che in ospedale cambiasse l'approccio nei confronti dei pazienti: spesso la persona non esiste, sei un caso. Sarebbe necessaria una formazione negli ospedali, ad esempio da inserire nei tirocini di medici e infermieri. E ancora, il libro parla dell'importanza delle cure palliative, che dovrebbero accompagnare da subito i pazienti, e non solo nella fase finale della malattia. Questo libro è l'analisi di una sanità che per molti aspetti non funziona. Il tutto è scritto nello stile di Anna, con la sua bella scrittura».
Anna Solaro sapeva di non poter guarire dal cancro, eppure in qualche modo ha creduto in una guarigione. Da cosa è guarita Anna attraverso la malattia? «Anna è guarita dai piccoli rancori, dagli errori che ha anche riconosciuto di aver fatto qualche volta con le persone, perché non siamo perfetti. Anna è guarita dal superfluo ed ha imparato l'essenziale. Spesso la società ci porta ad essere superficiali, ci chiede di impazzire per un telefonino. Anna diceva: io non guardo il reato, guardo la persona. Bisogna andare oltre; oltre alla malattia, oltre al reato, oltre alla situazione specifica e vedere la persona senza giudicarla. Anna aiutava le persone a diventare quello che già erano, semplicemente forniva loro degli strumenti. Il suo motto era: non mugugniamo soltanto, facciamo. Non è un caso che tra gli amici di Anna ci fossero don Gallo e don Giacomo Martino, che io e Anna abbiamo conosciuto in carcere. È stato proprio lui a celebrare il funerale di Anna».
Anna scrive che per affrontare la malattia bisogna armarsi, ma rifiuta la metafora bellica della guerriera, della combattente che dovrà sconfiggere la malattia. Infatti scrive: «Non mi sono arruolata in questa guerra. Mi sono pacificata in questa guerra».
E Mirco conferma: «Anna non era una combattente contro il cancro: diceva che nella malattia bisogna armarsi di pazienza, di ascolto, entrando in contatto con se stessi. Se riusciamo ad ascoltare i suoni e non più i rumori facciamo tanto per noi stessi».
Dicevamo dunque che Ho messo gli stivali gialli è un libro da tenere accanto; dovrebbe trovare un posto fisso sul comodino. «Però Anna lo terrebbe in bagno! Lei in bagno leggeva, scriveva, costruiva i suoi spettacoli». Ed eccola quella leggerezza che Anna portava sempre con sé, anche quando indossava le sue magliette a righe e i suoi stivali gialli: «Questo libro contiene tanta leggerezza, perché Anna la metteva sempre in tutto: si può parlare in modo leggero anche di temi pesanti».
Perché, come diceva Anna: «Le parole sono importanti. Le parole hanno il potere di curare».
Di Francesca Baroncelli