«Aprire qui è stata una scelta dettata dallo spazio», ci racconta Filippo. «A Genova, soprattutto in centro non è facile trovare location di grandi dimensioni, per di più con la possibilità di parcheggiare senza problemi. In questo campo l'importanza di avere un negozio fisico poi è particolarmente sentita e Redhouse è diventato un po' un punto di incontro, un luogo dove trovare sempre un appoggio».
Effettivamente nel mondo degli stumenti musicali, non è inusuale trovare una florida attività di vendita e scambio online, ma sicuramente avere qualcuno a cui rivolgersi, cambia l'approccio: «Il rapporto umano è alla base di tutto, la persona che sta dietro il bancone fa la differenza. Soprattutto dopo la pandemia tutto questo è ancora più importante, la gente è cambiata, ma non dirò come (sorride, ndr)».
Cogliamo una simpatica e tagliente nota sarcastica in quest'ultima affermazione, ma è anche vero che Redhouse esiste da ormai diciott'anni, compleanno che compirà a settembre 2024, e quindi Filippo, di cose, ne deve aver viste e sentite parecchie. La domanda, a questo punto, sorge spontanea: ma quindi, a Genova, si suona?
«Sì...» (altro sorriso sornione, seguito da una pausa, ndr). «Diciamo che a Genova ci sono tanti busker. A Parte gli scherzi, i locali ci sono, ma il loro sostentamento dovrebbe essere più appoggiato proprio dalla clientela in generale e dai musicisti stessi in particolare. Suono molto meno ormai, ma in passato mi è capitato di esibirmi in altre regioni, come nel Nord Italia e mi sono reso conto che lì i locali hanno una programmazione ben precisa e che tra il pubblico ci sono moltissimi musicisti che lì ci hanno suonato da poco o che sul quel palco ci saliranno nelle settimane successive. Anche qui dovremmo fare lo stesso, ma sono fiducioso, le cose potrebbero ancora migliorare».
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