Genova, 17/01/2025.
Rapine a mano armata, inseguimenti, sequestri, scontri con gang rivali, tentativi di evasione rocamboleschi. È disponibile dal 10 gennaio 2025 su Amazon Prime Mario Rossi, di comune solo il nome, film di Lucio Laugelli con Errico D'Andrea, prodotto da Stan Wood Studio con Ics Ets.
Il romanzo criminale di Mario Rossi inizia nella Genova degli anni Settanta, quando, nell’Italia degli anni di piombo, la sua banda diventa una delle più celebri del Nord Italia. Poi il primo omicidio, la latitanza e un viaggio all’inferno attraverso strutture carcerarie di ogni tipo. La sua storia si intreccia con quella di Francis Turatello, Renato Vallanzasca, le Brigate Rosse, Albert Bergamelli del clan dei marsigliesi, il terrorista nero Mario Tuti, oltre a rapinatori meticolosi che sembrano usciti da un poliziesco, come Pancrazio Chiruzzi, soprannominato il Solista del Kalashnikov.
Tra sei anni di isolamento totale nei famigerati braccetti della morte e, negli anni Ottanta, il tentativo di fuga in elicottero da Porto Azzurro a seguito di una rivolta carceraria senza precedenti, con decine di ostaggi e i gruppi di intervento speciale pronti a fare fuoco, Mario Rossi, oggi settantenne, racconta la sua vita che, a dispetto del suo nome, non ha nulla di ordinario.
«Mario Rossi ha trascorso quasi tutta la sua vita in carcere e continuerà a vivere, anche l’inverno della sua esistenza, dietro le sbarre: è uno dei cosiddetti fine pena mai», racconta il regista Lucio Laugelli: «l'ho conosciuto nel 2018, all’interno del penitenziario di San Michele, ad Alessandria, dove insieme ad altri volontari tenevo un corso dedicato al cinema. La sua storia mi colpì da subito perché è un'infinita spirale di peripezie, privazioni, violenze, fughe, sequestri, tentativi di evasioni spettacolari che in un solo film non ci sarebbero stati: ci sarebbe voluta una serie».
«Finito il corso di cinema iniziammo a scriverci», prosegue Laugelli, «poi tornai a trovarlo, regolarmente, ogni mese, ai colloqui, e con il passare degli anni siamo diventati amici. Molte persone mi hanno chiesto per quale ragione si diventa amici di un detenuto con una storia del genere, ma non so rispondere con precisione e razionalità: all'inizio si trattava di curiosità, forse anche un po’ morbosa, poi le parole scritte hanno fatto il resto. Quindi sono arrivate le ore passate nella sala colloqui (fredda d’inverno e calda d’estate) a parlare, a confrontarci su tantissimi temi. Ancora oggi, sebbene non comprenda la maggior parte delle scelte di vita di Mario Rossi, sono in contatto con lui, nonostante le riprese di questo documentario siano finite molti mesi fa. Da qualche mese il mio numero di telefono è abilitato a ricevere le sue chiamate dal carcere: quando la domenica, intorno all’ora di pranzo, vedo sul mio display numero sconosciuto, so che è lui. Ogni volta che rispondo si presenta come un famoso criminale. Sono Scarface, mi ha detto qualche giorno fa, per rimanere in tema di citazioni cinefile».
Come fa una persona che ha passato sei anni (2192 giorni) della sua vita in isolamento, nel silenzio più totale, a essere viva, lucida, cosciente? Come fa una persona che ha vissuto la quasi totalità del proprio tempo chiusa a chiave in una cella a non impazzire? Come si fa a svegliarsi la mattina sapendo che si morirà dietro le sbarre e che all’orizzonte non c’è più la possibilità di vivere liberi? Come fa una persona che ha commesso tutti quei reati a non distruggersi psicofisicamente, corrosa dai sensi di colpa? Dov’è la redenzione? Il docufilm Mario Rossi, di comune solo il nome cerca risposte a questi interrogativi, provando a raccontare un’infinita spirale di privazioni, fughe, vendette, incubi e silenzio.