Genova, 17/01/2017.
Schivo, notturno, poeta e artigiano: lo
street artist Tiler, che in questi ultimi
mesi sta riempiendo Genova dei suoi lavori, è l’emblema del
genovese 100% con il guizzo 2.0.
Non si sa chi sia, ma ha potenziale per essere
universale, non si svela ma spinge per uscire, si nega ma
regala, un cervello che sfugge ma non scappa.
L’identikit di Tiler è presto fatto: giovane al punto
giusto, maschio, lavoro tradizionale e arte nella testa prima che
nelle mani.
Il tormentone 2017 è tutto per lui: chi è
Tiler? L’eco della stampa parla di Tiler
colpisce ancora spesso e volentieri; la corsa a
riconoscerlo e a tempestarlo di domande anche. Artista di necessità
e assolutamente non per impiego, Tiler sta
riscuotendo, a ragione, critiche ed esaltazioni pubbliche come non
si vedevano da un po’.
Polemizzatore senza soluzione di continuità e ispiratore di un nuovo punto di vista, Tiler fa un bilancio del suo operato, svela ma non troppo sul suo futuro e si toglie qualche sassolino dalla scarpa per puntualizzare e difendere la sua identità.
Chi è Tiler secondo Tiler e cosa combina in
concreto?
«Tiler è un ragazzo che ha passato la vita a cercare un modo per
esprimersi che non siano le semplici parole. Tiler sono io. Fin da
piccolo amavo disegnare, il Signore mi aveva donato il talento, ma
non mi aveva dato altrettanta pazienza e per le arti pittoriche ci
vuole molta dedizione e studio. Ho cominciato a craccare
il mio primo Photoshop quando gli altri si cominciavano a fare le
prime adolescenzate, giocavo con la mia prima macchinetta
fotografica digitale quando queste erano grandi come scatole da
scarpe. Oggi Tiler è un creatore d'immagini: il mio pennello è
il mouse, i miei colori le fotografie e la mia tela lo
schermo».
Come dice Luciana Littizzetto, Tiler è uno dei
supereroi della Marvel: maschera, fine comunitario, votato al bene
e al bello. Ma è davvero così? Cosa spinge un uomo a mascherarsi da
scimmia e uscire in piena notte per attaccare delle
piastrelle?
«Il paragone con un super eroe è
ovviamente esagerato, però mi piacerebbe essere un esempio. Non che
voglia un esercito di scimmie a piastrellare le città, vorrei
soltanto che la gente comprendesse davvero il punto: intorno ha una
realtà che tenderà a peggiorare se non le viene dedicata cura. Tu
che cammini per strada e passi 100 volte davanti ad un mio lavoro
senza vederlo, ma alla 101esima volta alzi lo sguardo e lo scopri,
insieme alle mie piastrelle scopri anche che li c'è un muro e
dietro al muro esiste un quartiere che ha bisogno di essere
guardato e curato. La maschera è necessaria, l'essere umano ha
bisogno di mistero per appassionarsi, in realtà non ne avrei
bisogno io propriamente... Ma quando esco la notte, anche se mi
metto a lavorare in mezzo a decine di persone risulto invisibile
agli occhi; troppo attenti ai loro pensieri per notare una scimmia
che piastrella un muro. Per questo credo ci sia bisogno di
riabituare gli occhi e obbligare a tirarli su dagli schermi e dai
marciapiedi. Riconoscere la bellezza e pretenderla salverà il
mondo».
Perché le piastrelle?
«Le
piastrelle rappresentano una scelta nata dopo lunghi studi.
Innanzitutto, non volevo essere uguale a nessun altro street
artist; di conseguenza, avevo bisogno di qualcosa di nuovo,
innovativo. Altri artisti usano le piastrelle ma nessuno lo fa con
il mio metodo. Poi, serviva una cosa che stesse bene su un muro,
che non lo rovinasse ma lo evidenziasse: vernice e carta di fatto
deturpano e sporcano. Invece, cosa sta meglio di una piastrella su
un muro? Unica pecca: la firma sono costretto a farla a
bomboletta».
Come nasce un’opera di Tiler?
«Le
mie opere nascono da uno scatto che mi colpisce fortemente e
comunica con me un’esigenza, come a chiedermi di diventare qualcosa
di diverso. Cosi comincio a “rispondergli” e pezzo su pezzo nasce
un'immagine completamente diversa dallo scatto iniziale. Ci
sono lavori che termino in un’ora e lavori che durano giorni
interi, il tempo non è la costante. Ci sono immagini che nascono
con tanto da dire e altre che nascono mute, ma di ognuna di loro io
mi innamoro sul serio. Per questo la cosa più difficile per me è
condividere il mio lavoro. Sono un tipo geloso».
Tanta gloria, tanti nemici: non sempre la “filosofia
Tiler” è apprezzata al 100%. Le recenti critiche ne sono un
esempio.
«A dir la verità ho la pagina di Facebook colma di
appassionati, le persone migliori del pianeta secondo me e da
quando faccio questo lavoro ho ricevuto solo due critiche. Quelli a
cui spero di dare fastidio non mi sfidano apertamente, non mi danno
importanza: ovvio che se mai dovessi riuscire nel mio intento,
ovvero risvegliare il senso civico dei genovesi, allora non sarò io
quello che dovranno temere. Sono felice che la gente parli di me
perché dando eco al mio lavoro danno eco al mio messaggio. Io non
sono qui per vendere nulla, ma per condividere un concetto, in
pratica regalandolo. Poi, se un giorno qualcuno vorrà fare del mio
lavoro un prodotto valuterò: il trucco sta nel fare cose giuste, al
momento giusto e nella modalità giusta».
Tiler diventa internazionale: ci hai mai pensato? E
soprattutto, se sì, dove?
«In mente c'è tutto
il mondo, sicuramente le mete classiche come Parigi, Londra e
Berlino in primis; devo dire la verità, mi interessa di più
l'Italia. Vado controcorrente, so che all'estero si
smuovono più interessi e si trova fama più facilmente, ma non mi
importa. Faccio quello che mi sento: quindi, prima verranno Torino,
Milano, Napoli e via così. Quando ho deciso che non mi sarebbe
servita una galleria espositiva, ma che la galleria sarebbe stata
la strada, mi hanno detto tutti che ero matto: la gente non avrebbe
capito, mi sarei messo nei casini...Invece la gente ha capito
eccome e cosi continuerò a credere nella loro intelligenza e
comprensione. Una relazione tutta italiana».
Quando hai realizzato l'opera su Obama a Bologna
è stato un caso o hai voluto studiare come sarebbe potuto essere in
un'altra città?
«A Bologna non cercavo il disagio; ho fatto il turista e ho
studiato il comportamento e le reazioni di un altro luogo. Devo
dire che i bolognesi sono stati fantastici, non c'è giorno in
cui non condividano una fotografia con il mio Obama
Free».
La fenomenologia Tiler è esportabile? Può nascere un
collettivo Tiler che agisca indipendentemente dal soggetto
fondatore?
«Tiler sono io. Se mai riuscirò a
crescere (come spero) creerò una squadra che mi aiuti a coprire le
varie parti del mondo. Farò quello che fa la maggior parte degli
street artist, farò una famiglia artistica. Ma questa, per ora, è
solo speranza e sogno».
Cadere nel facile paragone con Bansky è troppo
semplice...
«Mi dà fastidio sentire paragonare ogni artista urbano d'Italia
a Banksy. Non fraintendermi, lui è il massimo, ma io non sono lui:
ho una mia identità e voglio essere semplicemente Tiler».
Come sarà Tiler tra 5, 10 anni?
«Sarà un padre, un lavoratore e un artista spero. Se continuerò a
divertirmi, di certo non peserà mai il “gioco notturno”».
L’opera più riuscita e quella ancora non
realizzata
«Io amo tutte le mie opere, alcune,
ovviamente, più di altre. Spero non passi mai questa passione e
questo amore per ogni nuova creazione. L’ho già detto che sono un
tipo geloso?»
Tiler è un’idea, un momento o
un’identità: si tratta
di un progetto studiato e ragionato, un attimo di sfogo senza
pensiero o un alterego necessario come Bruce Wayne per
Batman?
«Tiler è tutte le cose che hai detto: un progetto ragionato quando
si studiano i materiali, i luoghi e i tempi. Ma è anche istinto
quando è il momento di creare. Sono sia Bruce Wayne che
Batman».
Viviamo un tempo politico caldo a livello locale: di
cosa ha bisogno il sindaco di Genova secondo
Tiler?
«Sicuramente ha bisogno di cittadini che pretendano meno e
comincino a dare di più; le responsabilità civili non finiscono
davanti allo zerbino di casa. Io non conosco di persona l’attuale
sindaco e non mi permetto di giudicarlo, ma parlo al sindaco del
futuro, qualunque esso sia (il futuro): sicuramente alla nostra
classe politica manca una competenza nello specifico, nella
particolarità dell’attribuzione di ruoli. Fossi io sindaco di una
Città come Genova mi circonderei di persone che hanno successo nei
loro ambiti specifici e non di semplici figure. Vorrei
persone, non ruoli».
Un assessorato alla Bellezza per Tiler: un proclama
d’artista per chi avrà in mano la Città nel
futuro.
«Ci vogliono competenze per fare, meno per parlare. Io so vedere il
bello e pretenderlo dal mondo che mi circonda ma non sarei in grado
di ottenerlo districandomi tra la burocrazia del nostro Paese. Noi
abbiamo bisogno di giovani professionisti innamorati dello svolgere
bene il proprio lavoro».
A oggi sono pervenuti tanti perché sull’opera di
Tiler e si è dato meno spazio a chi realizza. La recensione di
Tiler secondo Tiler.
«Tiler oggi non è un artista ma un ragazzo che sta imparando a
esserlo. Per realizzare tutto ciò mi faccio aiutare dai pensieri
della gente, dai loro desideri, critiche e consigli. Questa è la
mia recensione, verrà il giorno in cui sarò anche io un artista
vero e avrò bisogno di chissà cosa d’altro: ora, per me,
non è importante esserlo».
Di Hira Grossi