Genova, 06/12/2017.
Dieci anni fa moriva Franco Carlini, un pioniere del web, un giornalista che ha avuto la capacità, con largo anticipo, di intravedere quello che sta succedendo oggi. È stato tra i miei maestri, il primo che mi ha pubblicato un articolo e insegnato come scriverlo. Aveva un carattere spigoloso, però era generoso nel trasmettere le sue conoscenze ai giovani colleghi. Siamo nell'epoca della smemoratezza, ma guai a chi dimentica.
Regalandomi Chips&Salsa, il suo libro sulle storie e culture del digitale uscito nel 1995, Carlini scrisse questa dedica: «Io, ormai senza parole di fronte a tanto dilagare». Parole profetiche, ora che tutti parlano di tutto in internet, e un numero infinito di persone lo fa a sproposito. Un chiacchiericcio di fondo, che ci disturba quotidianamente. È una grande sfida salvaguardare l'informazione giornalistica oggi, un problema che ci riguarda tutti da vicino, non solo gli addetti ai lavori.
Venerdì primo dicembre è stato organizzato un convegno per ricordarlo, Chips&Salsa 2017 – Giornalismo, innovazione, democrazia, organizzato dai suoi ex dipendenti e allievi, i giornalisti di Effecinque, e altri colleghi, nella sala del Minor Consiglio di Palazzo Ducale a Genova, la sua città. La sala era gremita, gli interventi sono stati tanti, ottimo il livello, proprio come Carlini si merita.
Sono stata invitata per parlare della mia esperienza come direttore di mentelocale. Il titolo della nostra tavola rotonda era “Lungo, breve, veloce, ibrido: redazioni nel flusso del cambiamento”. Hanno partecipato Andrea Dambrosio (Web Chief editor SkyTG24), Marco Pratellesi (condirettore AGI), Nicola Stella (digital editor, responsabile del sito www.ilsecoloxix.it) e Nicola Bruno (effecinque). Ho anche registrato l'intervento di tutti per chi volesse approfondire.
Gli organizzatori ci hanno chiesto di commentare questa frase di Franco Carlini:
Ma soprattutto si è imposto un luogo comune mai seriamente motivato, ma non per questo meno dilagante, il quale recita grosso modo così: nel web occorre scrivere solo testi brevi, corti come un lancio di agenzia, sintetici e stringati, senza eccessive sfumature. (Parole di carta e di web, 2004)
Anche io credo che questo non sia del tutto giusto, anche se ormai i lettori ti raggiungono soprattutto da mobile. E lì può essere più scomodo leggere contenuti articolati. Gli approfondimenti hanno la loro importanza, per una minoranza di lettori sono il pane quotidiano. Altrimenti non si capirebbe il successo di testate come l'Internazionale. Anche se il famoso Google Panda – che avrebbe dovuto distinguere articoli di qualità da articoli fotocopie - non ha mai funzionato veramente. Neanche Google stesso funziona più in maniera trasparente come un tempo. Non parliamo di Facebook e di tutte le piattaforme social nate della Silicon Valley dopo la morte di Carlini, invenzioni straordinarie, ma che ormai gestiscono l'informazione sul pianeta. Mister Zucherberg è il genio del Terzo Millennio, ha creato una piattaforma informativa, dove tutti scrivono della loro vita privata o linkano articoli, video e contenuti vari, senza che lui spenda un euro per i contributi volontari che riempono Facebook tutti i giorni in tutte le parti del mondo.
Come è cambiato il lavoro al desk negli ultimi 10 anni? Questa era la seconda domanda che gli organizzatori ci hanno posto: una bella domanda, ho lavorato al desk anche di una testata cartacea come il Secolo XIX e potrei fare dei raffronti su come sia cambiato il desk nelle testate on line, ma anche come sia diverso tra quelle on line e quelle cartacee.
Nel web ormai non esiste quasi più una lettura frontale, da prima pagina – homepage - per intenderci, perché i lettori arrivano all'articolo attraverso i social network, Google, e altri mille modi. Ma chi ancora sceglie l'homepage si troverà tanti articoli che competono tra loro per essere cliccati. Quindi più che sulla carta, bisogna avere un'attenzione massima ai titoli e alle foto. Invece sulla testata cartacea si può anche sbirciare qualche riga dell'articolo prima di decidere se leggerlo o no. Inoltre gli articoli sul web devono essere pieni di link che ti portano in altre pagine del sito, perché come dicevo la maggior parte del flusso arriva da link esterni.
I giornalisti della carta stampata hanno questa fortuna, non possono sapere quanto i loro articoli siano letti e vivono meno lo stress da prestazione. Un tempo la consideravo una grande sfortuna, perché così non ci si può comunque rendere conto se si ha un seguito o no, ma adesso che alcune testate on line pagano i collaboratori anche in base alla visite dell'articolo, la posso ancora chiamare fortuna?
Ne è passato di tempo da quando Franco Carlini, nel 2003, aveva definito mentelocale - durante un convegno - la piazza virtuale di Genova. Fino a poco tempo fa si pubblicavano tantissime opinioni di lettori, persone del mondo della cultura, giovani artisti, scrittori, cantanti. Ora le piazze virtuali sono soprattutto i social, dove insieme a contributi intelligenti di persone competenti, trovi anche bacheche dove c'è una guerra di tutti contro tutti, senza che nessuno faccia da mediatore. Con un grande guru che ci fattura miliardi.
Da un po' di tempo tanti definiscono post gli articoli, insomma c'è una grande confusione. Il web ha permesso a molti di esprimersi, ma sono pochi gli utenti – una minoranza – che sanno gestire questo grande flusso informativo, pieno anche di inesattezze e propaganda. Una minoranza sa destreggiarsi tra pubblicità truccata da articoli o fake news truccate da notizie vere. Vorrei che ci fosse Franco oggi con la sua lucidità a discuterne con noi.