Serena Bertolucci: «Palazzo Ducale è un luogo da vivere, non solo mostre ma anche spazi per la scuola»

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Genova, 08/05/2020.

A Palazzo Ducale si pensa e si realizza l’impossibile: La mostra non c’è, ma si vede; le visite guidate si spostano in tv e gli incontri si svolgono anche sui social. Cercando di trasformare in opportunità un tempo difficile per tutti, ma che ha duramente colpito gli spazi culturali. Si pensa in grande, rendendo quella che è «un’istituzione unica nel suo genere», uno spazio duttile in cui, perché no, «accogliere a settembre anche gli studenti che, per garantire le distanze in classe, non possono rientrare in aula». Nonostante il periodo confuso e poco rassicurante, la direttrice Serena Bertolucci, quando racconta i progetti presenti e futuri per rilanciare Palazzo Ducale e la cultura in città,  ha delle idee precise, perché per progettare: «Serve avere una visione nuova».

Nonostante il lockdown non vi siete fermati un attimo.
«Abbiamo cercato di utilizzare tutti gli spazi a disposizione per continuare a sollecitare o rispondere ai bisogni culturali. Anche con un contatto diretto con il pubblico attraverso i social, per mantenere vivo il rapporto».
Per raggiungere tutti avete anche usato diverse piattaforme.
«Sì, ci siamo resi conto che il pubblico non sempre è avvezzo all’online e diverse persone hanno problemi con la tecnologia, per questo abbiamo scelto di utilizzare anche la tv, mandando in onda visite guidate e incontri. Programmi che in alcuni giorni hanno raggiunto fino a 300mila persone».
Come vi state preparando alla ripartenza?
«In questa fase di transizione, il presidente Luca Bizzarri, ha pensato che in un momento in cui è impossibile fare qualsiasi cosa, bisogna tentare l’impossibile e così ha pensato alla Mostra che non c’è. Una mostra virtuale con opere provenienti da tutto il mondo legate alla storia di Genova. Opere che sarebbe impossibile vedere tutte insieme in un unico posto, le mettiamo insieme adesso e le raccontiamo attraverso brevi video. Per La mostra che non c’è  abbiamo anche pensato al biglietto che non c’è, che permetterà, attraverso un crowfunding, di fare una libera donazione. Nel frattempo proseguono gli incontri su Facebook, in cui si parla di letteratura, arte, musica, il prossimo ciclo sarà dedicato al poeta Sanguineti. Mentre se il 18 maggio verrà confermata la riapertura dei musei, Palazzo Ducale è pronto ad accogliere i visitatori e far vedere la mostra di Banksy, che siamo riusciti a prorogare di una settimana, attraverso un percorso sicuro scandito da adesivi rossi per mantenere le distanze».
Progetti per l’autunno?
«Stiamo ragionando su tutta una serie di mostre, tra cui una con le opere di Frank Shepard Fairey, in arte Obey, conosciuto per i poster di Obama con la scritta Hope. E verrà confermata la mostra su Michelangelo. Ovviamente tutto visitabile attraverso percorsi Covid free. E poi abbiamo anche un progetto in divenire, che è un po’ una sorpresa. Perché, se mantenere le distanze è un limite, noi stiamo cercando di trasformarlo in opportunità: pensando a una mostra in cui il pubblico possa godere appieno di un’opera in solitudine».
Palazzo Ducale per la città è un punto di riferimento
«Le strutture culturali si devono radicare nel territorio, e noi già lo siamo. Questo lavoro fatto in passato ci permette oggi di essere un passo avanti».
Cosa è per lei il Ducale?
«È un istituzione unica. È una struttura che non è semplicemente un contenitore: è un luogo da vivere. Un luogo multidisciplinare e duttile. Un’istituzione senza eguali che può essere capofila in molti progetti».
Come vede il futuro delle cultura e delle realtà che la diffondono?
«Secondo me dobbiamo trasformare in risorsa quello che stiamo vivendo. E il primo passo da fare è capire che le realtà culturali per andare avanti devono fare rete e lavorare insieme. Bisogna condividere spazi, persone, idee. Il futuro lo vedo con tanti programmi partecipati, pensando non tanto a grandi eventi, ma a tanti piccoli appuntamenti, come i pezzi di un mosaico. Creando prodotti più malleabili, comprensibili, integrati, mantenendo però sempre i piedi per terra. Siamo paradossalmente di fronte a uno dei momenti più creativi».
Osare senza perdere di vista la realtà.
«Non si può più pensare a un museo in termini tradizionali: un posto dove andare a vedere un’opera. Gli spazi devono essere duttili. Tra le nostre idee, ad esempio, c’è anche quella di offrire gli spazi del Ducale alle scuole, accogliendo quegli studenti che non entrano nelle aule per motivi di capienza ridotta a causa del distanziamento imposto dall’emergenza. Scuole che stiamo sostenendo anche con programmi mirati online, ma se servono spazi saremo pronti a offrire anche quelli. La cultura è partecipazione».
Oltre al Ducale ora è anche presidente del Teatro Sociale di Camogli, ha già dei progetti per questo spazio?
«Ho un Cda che ha molta voglia di ricominciare. Ma intanto dobbiamo cercare di capire cosa ne sarà dei teatri. Dovremo ripensare a una stagione covid free, anche se è difficile. Mi piacerebbe compatibilmente ai costi aprire il teatro ad altre esperienze: esposizioni, mostre, lezioni, masterclass estive. E quale luogo migliore di Camogli in estate per farlo?»
Qual è il ruolo del teatro oggi nella società? Soprattuto in un momento come questo in cui il sipario fisicamente è abbassato?
«Di questi tempi credo che le piccole istituzioni possano essere di soccorso alle grandi, perché  aprire un teatro grande con poco pubblico è complesso. Inoltre il teatro moderno, piccolo, deve essere sempre più cuore culturale della zona in cui si trova, attraverso corsi di formazione, mostre, presentazioni libri e spettacoli. L’obiettivo è tenere viva la cultura e renderla il più partecipata possibile. La Gioconda senza pubblico è sempre la Gioconda, uno spettacolo senza spettatori no».

Di Rosangela Urso

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