Genova, 13/02/2021.
Tornare al rito di andare a vedere uno spettacolo. Tornare all'appuntamento con le maschere, con la coda, con l'edificio che contiene la performance dal vivo. Tornare accanto ad altre/i che insieme andranno a formare il pubblico casuale di quella certa data.
Sembra una prima volta. C'è un'attesa stupita. C'è una sospensione di quell'aggressione ormai in atto da un anno. Ma è possibile davvero svestire il senso di sospetto che ci accompagna? Non si entra guardinghi a teatro. Occorre apertura, disposizione o, meglio, quel certo "essere disposti a": a prendersi un rischio, a confrontarsi con il nuovo, il diverso, l'alterità, il non noto, il non familiare.
Occorre accendere tutti i sensi, in un tempo in cui ce li abbiamo tutte/i malamente strapazzati e intorpiditi.
C'è un momento che si carica di un'emozione composita fatta di mille domande che aggrediscono la mente prima dell'ingresso, in un'eccitazione fanciullesca: sarò ancora in grado di guardare? sentire, osservare, percepire? Sarò fuori allenamento? Mi emozionerà tutto, per una pura questione di astinenza e per via del confinamento letterale che stiamo tutte/i vivendo – senza contare quello percepito. Cosa guarderò? Cosa vedrò? Più me stessa che torna a un piacere antico? O aprirò i sensi a tutto il resto? ancora non sento tutti gli odori, il Covid mi ha lasciato un paio di sensi invalidi – nella migliore delle ipotesi – intermittenti. Vado a provarmi con il concetto di contagio: Edipo è contagio, io e altre/i come me siamo stati contagio e a nostra volta contagiati. Oggi chi siamo? Nessuno sa con certezza quale tipo di immunità si acquisisca. Quali danni collaterali a breve e/o lungo termine. Chi siamo? La questione dell'identità è tutt'uno con lo spettacolo dal vivo. Il teatro sempre ci indaga e noi indaghiamo quanto viviamo.
Entro e trovo oggetti e installazioni – forse dovrei dire stralci di scene? Sento che sto cercando altro. Sto cercando attrici e attori, i suoni, l'azione. Poi mi chiedo, ci saranno musiche? Cerco parole dette qui e ora. Nel frattempo con impazienza leggo a saltello lunghe parole scritte in pannelli o direttamente sul muro. Impaziente, percepisco gli stimoli visivi, lo spessore del colore rosso che traccia segni e lettere, gocce e forme che evocano dolore e spavento: in un certo senso tutto solletica l'eccitazione dei sensi. Avverto chi mi è compagna/o in questa pomeridiana. Superficialmente considero la fisicità delle persone accanto a me, per un attimo torno a quella semplice necessità di non avere 'impedimenti' dello sguardo, al contempo però sento che circola anche quel senso di sospetto, quello che ci leggiamo tutti/e negli occhi da 12 mesi. Siamo troppo vicini?
Poi le teche si illuminano. Nelle prime due Sonia Convertini e Matteo Palazzo. Voci e volti nelle teche si animano, espressivi, ora in alternanza, ora all'unisono. Non seguo il significato delle parole, potrebbero essere pronuciate in un'altra lingua. Non riesco a interessarmi al significato della dimensione verbale. Ho un'altra priorità. Sento la performance dei volti, percepisco le rughe che si formano e si rilasciano lungo il volto, i toni che cambiano, i gradi di intensità dello sguardo, quando si fa gesto. Mi volto e nel mio movimento aggrego il loro che, seppur minimo, vibra nelle voci, nell'incastro che il duo conosce a memoria, ma agisce ora e lì per noi. Percepisco le loro sintonie, gli stacchi bruschi, le pause. Ecco cosa guardo e cosa ascolto: interpretazione e regia.
Più avanti incontro altri "reperti umani in teche" che rimandano alla conservazione di oggetti o creature imbalsamate: c'è un'intensa Irene Villa, che ritrovo dopo tanto tempo e con piacere. Villa incarna il tormentato Edipo che arringa il popolo con voce tuonante (con effetto eco) ma incrinata, con ritmo da condottiero, ma spirito ferito e incautamente armato contro il suo stesso padre, come "dice" la mano insanguinata che sul vetro lascia un'impronta eloquente. Ci sono poi interpreti che vedo per la prima volta: Davide Mancini, Mirko Iurlaro. A chiudere, un frammento che propone una sinuosa, toccante performance minuta, quella di una creatura che cambia persino dimensione, è Valeria Puppo, un'altra felice riscoperta. Nel suo frammento dall'ultima "stazione", Puppo, attrice-danzatrice, si fa onda, gabbiano, agente fluido e palpitante, sapientemente abile a gestire un linguaggio che passa per la flessione delle dita delle mani e dei piedi, delle gambe, del busto, del collo e della testa per un corpo che è forma e sostanza ma confluisce in un messaggio che arriva come poesia.
La chiamano mostra performativa, è l'Edipo: io contagio – scena e parola in mostra nella Tebe dei re, ideata da Davide Livermore e promossa dal Teatro Nazionale di Genova in collaborazione con la Fondazione per la Cultura Palazzo Ducale, allestita lo scorso novembre 2020 in risposta alla nuova chiusura dei teatri e poi restata in attesa della riapertura dei musei. Uno spettacolo a stazioni, articolato in 5 ambienti o "stanze", per una scrittura scenica dove il testo di Sofocle è pretesto, ovvero viene prima ma anche "viene con", ovvero con un'interpretazione che tenga anche conto di altro. L'altro di questo Edipo è esplicito e manifesto, è il nostro contagio da Covid-19, quello che è entrato nelle vite di ognuna/o di noi, nelle piazze e nelle strade, nei mezzi pubblici e di comunicazione. Quello che ci ha chiusi dentro e a molte/i è costato la vita ad altre/i il lavoro.
Uno spettacolo che si articola lungo fermate piuttosto contenute, brevi quasi (o forse è la sete di esposizione a farcele vivere così?), in cui il passaggio da una stanza all'altra prevede che tutto il pubblico sia "pronto". Si "sale a bordo" del prossimo frammento, si entra nell'altro ambiente solo se ci siamo tutte/i! Attenzione però, in alcuni corridoi ci è segnalato di passare da sole/i – il cartello è chiaro e familiare.
Insomma il contaggio non molla la presa e per quanto ci venga chiesto di essere un pubblico, di tornare ad esserlo, se lo siamo, lo siamo in modo diverso. Perché in verità siamo strattonate/i a non esserlo; da un anno ormai, essere insieme, essere vicini e in tante/i, si dice usando altre parole, si chiama: "assembramento" ed è punito per legge ma è anche comportamento che abbiamo tutte/i imparato ad evitare, consapevoli del danno che comporta alla comunità tutta. Salvarsi tenendo un metro di distanza. Salvarsi tenendo una maschera sul viso e sorridendo con gli occhi. Salvarsi offrendosi il gomito o allargando le braccia ma a distanza evocando il calore di un abbraccio. Salvarsi e soffrire.
Quanto ci manca il teatro. Quanto ci manca il cinema. Quanto ci mancano i concerti. Quanto ci mancano gli spettacoli di danza. Quanto ci manca il teatro circo. Quanto ci mancano le performance dal vivo, tutte.
Quanto ci manca la cultura che ci offre meraviglia come quando da piccole/i di fronte a un regalo sgranavamo gli occhi e tutto il resto, intorno, scompariva, mentre venivamo risucchiate/i nel gesto di entrare nella sorpresa. L'attesa e lo spacchettamento erano l'esperienza vibrante dell'emozione. Il teatro è questo e molto di più, perché ci regala spesso (certo non sempre) percezioni a lento rilascio, immagini e stimoli che si ripresentano con il tempo, a sprazzi, per aiutarci a comprendere meglio noi stesse/i e tutto il resto. Il teatro, come tutta la cultura, ci offre bellezza perché ci consente di immergerci in quella profondità che la quotidianità frenetica ci nega per definizione.
La notizia di giovedì 11 febbraio era ottima: dal 3 febbraio 2021, data della ri-apertura di Edipo: io contagio 1000 persone avevano riempito sino al massimo della capienza prevista tutte le date, veniva così espressa "con botto" l’esigenza di riappropriarsi degli spazi della cultura e di partecipare ad eventi dal vivo.
La notizia di oggi, sabato 13 febbraio è pessima: a causa del passaggio della Liguria da zona gialla a zona arancione, da lunedì 15 febbraio, chiude la mostra performativa. Sospesa ancora una volta in linea con le limitazioni previste dal Dpcm del 14 gennaio. Il Teatro Nazionale di Genova dal sito annuncia che tutte le prenotazioni per le date dal 15 al 19 febbraio sono automaticamente annullate.
Sospesi ma adattabili, guardiamo avanti e ci teniamo negli occhi e sulla pelle tutta quanta la forza dell'immaginario che la cultura ci sa offrire, fino alla prossima apertura. Presto. Presto. Presto.
[spettacolo visto/visitato il 12 febbraio 2021]
Edipo: io contagio – scena e parola in mostra nella Tebe dei re
Ideazione Davide Livermore
A cura di Davide Livermore, Margherita Rubino, Andrea Porcheddu
Elementi scenografici del Teatro alla Scala
Testi da Edipo Re di Sofocle, riduzione di Margherita Rubino
Traduzioni in inglese Kiara Pipino
Allestimento
Assistente scenografa Lorenza Gioberti
Musiche Andrea Chenna
Luci Gianni Grasso
Fonica Edoardo Ambrosio, Luca Nasciuti
Macchinista costruttore Diego Paoli
Elettricista Stefano Monni
Aiuto assistente scenografo Nicolò Tomasi
Progetto grafico Emanuela Dellepiane
Stampe digitali Pitto P.Zeta
Video a cura di Squeasy Film
Performance dal vivo
Coordinamento Carlo Sciaccaluga
Attori e performer Agnese Ascioti, Sonia Convertini, Noemi
Esposito, Nicolò Giacalone, Mirko Iurlaro, Davide Mancini, Matteo
Palazzo, Enrico Pittaluga, Valeria Chiara Puppo, Marco
Taddei, Demian Troiano Hackman, Irene Villa
Produzione Teatro Nazionale di Genova in collaborazione con Fondazione per la Cultura Palazzo Ducale Genova