Milano, 05/04/2018.
Per la prima volta Milano dedica al talento eclettico e interdisciplinare di Giosetta Fioroni una grande mostra antologica, con oltre 160 opere capaci di raccontare al pubblico la complessità tematica e linguistica del suo intero percorso artistico. Promossa e prodotta dal Comune di Milano | Cultura e dal Museo del Novecento, in collaborazione con la casa editrice Electa, la mostra Giosetta Fioroni. Viaggio Sentimentale è curata da Flavio Arensi ed Elettra Bottazzi ed è aperta al pubblico, nel nuovo percorso espositivo che si snoda al piano terra del Museo, dal 6 aprile al 26 agosto 2018.
Figura di riferimento della cosiddetta Scuola di Piazza del Popolo a Roma insieme a Franco Angeli, Mario Schifano, Tano Festa e tutti gli artisti che hanno animato la galleria La Tartaruga di Plinio de Martiis, Giosetta Fioroni rappresenta un’eccezione nel panorama italiano dell’arte e anche per questo è diventata una protagonista della scena artistica internazionale. Fuori dal coro, fuori dalle mode, lucida ed esplosiva, l’artista ha sviluppato in oltre sessanta anni di attività un linguaggio visivo forte ed eloquente fatto di simboli, segni ed emozioni: muovendosi a suo agio tra pittura, disegno, performance, video, teatro, ceramica e moda, ha sempre intrecciato il suo lavoro alla sua vita in modo audace e romantico. Da qui il titolo della mostra Giosetta Fioroni. Viaggio Sentimentale, che prende spunto dalla canzone Sentimental Journey portata al successo da Doris Day nel 1944 e che mette in evidenza tanto il lungo incedere creativo dell’artista, quanto la sua volontà di raccontare, passo dopo passo, tutto quello che offre una vita sentimentale.
«Milano è una città particolare per Giosetta Fioroni, che proprio qui, sessant’anni fa, fece la sua prima mostra personale in una galleria privata», dichiara l’assessore alla Cultura Filippo Del Corno «Questa è la sua prima mostra in uno spazio espositivo pubblico e siamo felici di poterla accogliere proprio al Museo del Novecento, dove si trova il compendio di quel sapere che l’artista stessa ha contribuito a creare con la sua instancabile attività al servizio di tutte le forme dell’arte. La mostra, infatti, fa parte del palinsesto Novecento Italiano, che offre al pubblico lungo tutto il 2018 uno spaccato significativo della vita culturale del secolo scorso».
Il percorso espositivo, al piano terra del Palazzo dell’Arengario, si snoda nelle sale (circa 700 mq) che affacciano su piazzetta Reale, allestite in senso cronologico per offrire una panoramica completa dell’attività pittorica dell’artista, grazie al progetto di allestimento di Massimo Curzi che ha lavorato immaginando di condurre il visitatore dentro lo studio dell’artista. Per la prima volta, le sale sono collegate dall’interno del Museo.
La mostra Giosetta Fioroni. Viaggio Sentimentale è visitabile al Museo del Novecento di Milano nei seguenti orari: lunedì 14.30-19.30; martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30-19.30; giovedì e sabato 9.30-22.30 (il servizio di biglietteria chiude un’ora prima della chiusura). Il biglietto di ingresso ha un prezzo di 10 euro (ridotto 8 euro per over 65 e studenti universitari ed accademie di Belle Arti; ridotto 5 euro per ragazzi tra i 13 e i 25 anni; gratis bambini e ragazzi fino ai 12 anni compiuti, portatori di handicap con accompagnatore, possessori di Abbonamento Musei Lombardia); l’ingresso alla mostra comprende anche la visita al museo. Di seguito il dettaglio del percorso espositivo della mostra dedicata a Giosetta Fioroni.
Le opere degli anni Cinquanta, di stampo astratto-informale, si succedono a quelle più intime legate all’esperienza parigina, dove la materia inizia a sintetizzarsi e compaiono i primi elementi domestici, il cuore, la lampadina, l’orologio, intesi come via di uscita da una art autre che però risultava poco legata all’osservazione dei sentimenti, tema portante di tutta l’opera di Giosetta Fioroni.
La sezione prende spunto dalla definizione che lo scrittore Goffredo Parise trovò per le sue opere in un articolo pubblicato nel 1965 sul Corriere di informazione: qui sono esposti i celebri Argenti degli anni Sessanta, quando l’artista diventa figura centrale della pop italiana ed europea, e le opere successive che vedono nel colore una nuova forza di scrittura. Sono questi gli anni in cui il rapporto con la storia dell’arte si apre alla rivisitazione di alcune immagini iconografiche, rilette attraverso il nuovo metodo di indagine artistica della Fioroni: così Botticelli o Carpaccio, ma anche le modelle dei rotocalchi diventano protagonisti di una pittura sospesa fra fotogramma, velocità futurista e stasi metafisica.
Questa sezione raccoglie il corpus dei Paesaggi di Luce che hanno per sfondo la città di Venezia. Qui il colore argento diventa sintesi e linea, colpo di luce che racconta lo spazio. Si presentano dopo oltre quarant’anni anche alcuni esempi dei Paesaggi di luce, esposti per la prima volta alla galleria La Tartaruga e poi alla mostra Vitalità del negativo nel 1970, che sono proiezioni luminose su tela della silhouette veneziana.
La sala raccoglie gli esiti del lungo periodo di vita con Goffredo Parise a Salgareda, nella campagna veneta. Il paesaggio d’argento si perde, e vengono indagate le piccole manifestazioni del vivere quotidiano. La fiaba, gli elfi, le persone e i loro oggetti sono racchiusi in una serie di piccoli quadri rappresentativi della necessità, o volontà, di tornare alle piccole magie domestiche: i quadri divengono pretesto per raccontare il paesaggio, la casa condivisa con il compagno scrittore, gli ambienti delicati della campagna. Qui sono esposti anche i quadri dedicati al tema della fiaba, come indagine che parte dalle osservazioni sulla tradizione del russo Vladimir Propp.
La sala presenta, per la prima volta nella sua interezza, l’Atlante di medicina legale del 1975 che il critico Giuliano Briganti così descrisse: «Giosetta incontra i mostri del suo terrore, la configurazione in immagini orrende e disperate di un’angoscia fino allora latente; quell’angoscia censurata dal momento tutto mentale degli argenti, quando Giosetta la racchiuse in una gelida prigione ma senza speranza di eluderla, e che si stemperò poi in lievi vertigini sentimentali nel doloroso ma sorridente inseguimento dei piccoli e irrecuperabili beni personali, quando la coscienza si identificava col mondo fantastico degli elfi e dei coboldi nel sicuro rifugio del mito infantile [...]». Questo schedario d’incidenti mortali per pratiche di autoerotismo, feticismo e omicidio, è l’altra faccia della medaglia che ha animato le favole e i teatrini. Sono infatti le cartelle degli orchi, degli sprovveduti, dei pazzi, o di altro impulso, che sul palcoscenico della normalità non trovano riscontro se non in un casellario di malattie.
I quadri che nascono fra gli anni Ottanta e Novanta rispondono all’esigenza di riappropriarsi della piena libertà linguistica, in linea con la nuova stagione artistica internazionale che dopo, dopo gli anni Settanta dominati dal poverismo e dal concettuale, trovano nuovo interesse per la pittura. Si tratta di opere che recuperano la materia e con il colore formano un percorso di indagine sulla pittura.
I movimenti remoti sono una sorta di memorandum «dei ricordi recenti e più antiche sensazioni, vari momenti e accadimenti dell’odierna vita reale. In comune la possibilità di vagare tra i vari sentimenti in questione in modo semplice e allusivo, con arbitrari accostamenti di immagini e di stili», come ebbe a spiegare l’artista stessa. Si tratta di sedici grandi disegni che prendono spunto da un testo di Goffredo Parise scritto nel 1948, quando aveva da poco compiuto diciott’anni e viveva in una condizione di totale isolamento: il manoscritto dei Movimenti remoti era stato dato per perso per oltre cinquant’anni, anche dallo stesso autore che ne aveva un ricordo impreciso. Pubblicato da Fandango Libri nel 2007 racconta la storia di giovane uomo di 27 anni che muore per un incidente con la sua automobile e riprende coscienza dopo essere stato seppellito; scopre così di disporre della straordinaria capacità di rivedere come in un film tutta la sua vita, mentre si prepara a intraprendere il cammino verso il nulla. In questa sala sono allestite anche le lettere che l’artista ha inviato ai suoi amici artisti: una sorta di dipinto-scrittura.
L’ultima sala espone tre grandi tele che raccontano il mondo della magia e della trasformazione, temi cari a Giosetta Fioroni. War (2009), Marilyn Manson (2009), e il Ramo d’oro (2014) chiudono la mostra circolarmente, riprendendo i temi fondanti di tutta l’opera della pittrice romana, ovvero il sentimento e la memoria come motori del suo operare artistico.
La manica lunga al piano terra del Palazzo dell’Arengario accoglie un suggestivo ritratto dell’artista connesso con il tema teatrale del vedere-vedersi ed essere visto, sviluppato grazie all’esposizione di oggetti, foto e documenti: dalla Spia ottica del 1968 (ricostruita attraverso i documenti dell’epoca) fino alla serie fotografica di Senex e Altra ego, dove Giosetta Fioroni – in collaborazione col fotografo Marco Delogu – da osservatrice diviene protagonista, mettendosi al centro della scena con una meditazione sul sé e sul rapporto col tempo. In questa sezione sono rappresentati anche i Teatrini, realizzati a partire dal 1969 e alcuni abiti in ceramica che raccontano del sodalizio trentennale fra la Fioroni e la Bottega ceramica Gatti di Faenza.