Il primo autoscatto di De Biasi, ritrovato dalla figlia Silvia nell’archivio, solo dopo la morte del padre, lo ritrae con l’impermeabile ben allacciato, i capelli un po’ arruffati, una macchina fotografica fra le mani, uno strumento che diventerà, com’ebbe modo di dire Bruno Munari, l’estensione naturale della sua stessa persona. L’immagine svela non solo il suo esordio quanto il concretizzarsi del sogno di diventare fotografo che lo stesso De Biasi annota a fianco dell’immagine con la frase Il mio sogno è qui. Un desiderio nato in Germania, a Norimberga in cui era stato inviato al lavoro coatto e dove, tra le macerie della città trovò casualmente, come segno del destino, della carta fotografica, alcuni liquidi per lo sviluppo e un libro sulla fotografia.
Rientrato in Italia, De Biasi trovò in Milano il suo soggetto preferito, scoprendo, a piedi o in bicicletta, tutto il tessuto urbano, dal centro fino alle periferie. Qui nacquero alcuni dei suoi cicli più famosi, come quello dedicato al Duomo e ai suoi frequentatori, tra cui spicca l’immagine di una coppia, vestita in abiti modesti, in visita alle guglie che ammira il paesaggio sottostante e di cui riesce a cogliere, grazie al suo talento da fotoreporter, il dettaglio della donna che si è tolta le scarpe e le ha poste ordinatamente accanto a lei.
«Ho sempre seguito l’attività di mio padre, sia quando scompariva per mesi girando il mondo come fotoreporter di Epoca, sia quando, nelle rare pause del lavoro o dopo il pensionamento, partiva da casa all’alba con un pesante carico di macchine fotografiche e, con la stessa curiosità con cui affrontava un viaggio verso mete sconosciute, camminava instancabilmente per Milano alla continua ricerca di immagini inedite della sua amata città di adozione», ricorda Silvia De Biasi. «La sistemazione del suo archivio mi ha però permesso di conoscere più a fondo il suo modo di lavorare e soprattutto di riscoprire i suoi primi scatti fotografici, realizzati dal rientro a Milano dopo la guerra».
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