Milano, 26/01/2024.
Nel pieno centro di Milano, a dieci minuti a piedi da piazza del Duomo, c’è una strada talmente stretta e angusta che per entrarci in automobile occorre una buona dose di incoscienza. Si tratta di via Bagnera, ansimante arteria stretta tra muri grigi griffati con scritte colorate, finestrelle e persiane, che sale a perdifiato fino a far intravedere il cielo solo al flâneur dotato di ottima mobilità cervicale.
Proprio nella stretta Bagnera risiedeva uno scantinato teatro delle nefandezze del mostro meneghino Antonio Boggia, probabilmente il primo serial killer della città e certamente l’ultimo civile a essere condannato a morte a Milano (nel 1862) fino agli eventi della Seconda Guerra Mondiale.
Dunque, trent’anni prima che Jack lo Squartatore animasse con la sua perniciosa presenza i freddi vicoli londinesi, il Boggia massacrava le sue povere vittime agendo in maniera astuta, sgattaiolando ferinamente su e giù per il suo regno infernale, quella via Bagnera lugubre che ancora oggi sembra riecheggiare le sue malefatte, specie di notte, specie nelle fredde e caliginose giornate invernali. Eppure, l’Antonio non possedeva certo il physique du rôle dell’assassino truculento: sessant’anni, capomastro, elegante, amante dell’antiquariato. L’identikit del perfetto serial killer moderno: un uomo insospettabile.
La premeditazione era la sua arte: scelte con cura le vittime, dopo essersi garantito la loro fiducia, le invitava nello scantinato di via Bagnera per mostrare loro la sua collezione antiquaria. Poi le faceva orribilmente a pezzi con la scure. Venne rinchiuso per pochi mesi nel primo manicomio sorto in città, la Pia casa della Senavra, situato presso l’attuale Porta Vittoria, perché considerato folle ma non criminale. In realtà, alla fine della sua parabola terrestre, gli vennero contestati quattro omicidi a scopo di rapina, uno non portato a termine per un colpo di fortuna (della vittima), più una serie di reati minori, tentate truffe e sostituzione di persone in atti pubblici. Il tutto in dieci anni, tra 1849 e 1859.
L’incubo terminò il 6 aprile 1862, dopo tre regolari gradi di giudizio, in uno spazio aperto tra Porta Vigentina e Porta Ludovica. Due boia, assoldati a Parma e a Torino, si occuparono di accompagnarlo all’inferno impiccandolo davanti a una folla inferocita e gaudente. La sua testa venne data in custodia al Museo anatomico dell'Ospedale Maggiore e a lungo studiata da Cesare Lombroso, padre della criminologia moderna e sostenitore della fisiognomica: i tratti somatici del Boggia celavano inequivocabilmente, a detta del celebre psichiatra, l’imprimitura dell’assassino.
Lui, l’Antonio spietato e folle, sembra aleggiare ancora oggi come presenza eterica e ingombrante lungo la stretta Bagnera: sono passati quasi due secoli, ma si sa, per le anime il tempo e lo spazio non esistono, specie per quelle dannate, che non trovano pace.
Di Enrico Pietra