Milano, 01/08/2015.
La storia ci insegna che tutte le grandi città sorgono laddove esiste una risorsa d’acqua. Così anche Milano, che fino ad un secolo fa doveva essere più simile ad Amsterdam che a Manhattan, decide di riappropriarsi di uno specchio d’acqua in cui riflettere la sua bellezza. Tutti sappiamo che è grazie all’Expo 2015 che la metropoli ritrova questa voglia di svestirsi del cemento; ma non è forse anche un desiderio che i cittadini reprimono da anni?
Il nuovo progetto della Darsena risponde a entrambe queste necessità e mette d’accordo un po’ tutti, anche se non possiamo ignorare alcune problematiche che accenneremo più avanti. Intanto, che cos’è la Darsena? In epoche ormai lontane (ma non poi così tanto) la Darsena era il raccordo dei due navigli principali, e rappresentava pertanto il porto di una delle vie di trasporto più importanti per il commercio fluviale. Insieme alla Madonnina, è stata considerata per anni il simbolo di Milano prima che lo fosse il cemento. Oggi sembra un ricordo lontano, o forse un’allucinazione, quel bacino sporco e dimenticato che incoronava con infamia i due navigli. Ci sono voluti circa 19 milioni di euro, il lavoro di un’equipe elitaria di architetti (Edoardo Guazzoni, Paolo Rizzatto, Sandro Rossi e lo Studio Bodin&Associés) per riportare la Darsena ad uno splendore che forse non ha mai conosciuto prima.
Quello che subito si nota, passeggiando in un qualsiasi giovedì sera d’estate, è che il clima di festa è quasi incontenibile. Nonostante l’atmosfera portuale sia rimasta solo in alcuni decori puramente estetici, come le passerelle e le barche a vela, la voglia di attraversare e di passeggiare conservano in pieno l’essenza di un viaggio, seppur immaginario. Ovunque si posi lo sguardo, si incontrano i volti sereni di persone di ogni età e provenienza. Le numerose aree verdi, o semplicemente le due sponde su cui penzolano le gambe dei cittadini e dei turisti, mi riportano subito a quell’estate passata ad ubriacarmi lungo il Canal St. Martin di Parigi.
Armati di Tennent’s e Peroni, io e il mio fidato braccio destro attraversiamo lo splendido ponte che unisce le due sponde: ammiriamo un panorama che fino ad un anno fa nessuno si sarebbe mai immaginato. Su entrambi i lati, le luci al neon dello stand Vodafone e del bar Pandenus, entrambi affacciati sullo specchio d’acqua, fanno da contraltare tecnologico al fascino romantico del bacino. Visti i numerosi lampioni targati Vodafone, e l’enorme schermo cubico su cui passano incessantemente spot pubblicitari, una domanda sorge subito spontanea. Quanto c’è di davvero spontaneo in questa città? I milanesi sanno, meglio di me che sono a mio modo immigrato, che a questo dilemma non si troverà mai una soluzione univoca. Data la nostra formazione classica, decidiamo di adottare la strategia Dante&Virigilio: non curarsene troppo, guardare e passare oltre.
Dopo aver notato un’area piena di tavolini e sedie colorate, con un lounge bar e alcuni foodtracks gestiti dal Mercato Metropolitano che servono Onigiri e Hot Dog, ci imbattiamo in una folla incuriosita e quanto mai accalcata intorno allo stand Vodafone.
«Scusa, ma c’è qualcuno di importante?»
«Boh, a me lo chiedi?»
Proprio mentre mi rimprovero della mia incapacità investigativa, una bella voce femminile intona 50.000 Lacrime. Ah, c’è Nina Zilli! In realtà io avrei una fame sconcertante, ma al mio braccio destro sono venuti gli occhi a cuoricino e decido di approfittarne per ritagliare dieci minuti di romanticismo pop. Non è di certo il mio genere, penso, però non si può biasimare una città che porta la musica per strada e concede concerti gratuiti ai suoi cittadini. Scopro che si tratta dell'ultimo appuntamento delle Vodafone Music Nights (te pareva!) e che prima di Nina Zilli sono passati Max Gazzè ed Emis Killa. Direi che mi è andata bene.
Ci dirigiamo verso il mercato coperto, una struttura che ospita stand di ogni genere, e che di giorno offre anche molte specialità culinarie piuttosto esotiche. Sono tuttavia quasi le 11 di era, e solo uno stand sembra aperto e ci invita con profumi inaspettati. Si tratta della Macelleria Popolare, branca del negozio Mangiari per Strada di Lorenteggio che offre specialità di carne fresche, che si possono comprare come in una normalissima macelleria, e pietanze calde cucinate al momento. Il menù, tutto a prezzi abbastanza contenuti (tra i 5 e i 9 euro) offre panini con le specialità regionali più impensabili. Dal lampredotto fiorentino al pastrami rumeno, dal murzheddu di Catanzaro alle polpette messinesi, dal panino ca’ meuza alla lingua in salsa verde. Mi faccio sedurre da una svizzera di pecora e da un bicchiere di rosso, e inizio a godermi lo street food nella sua variante più chic.
Con la pancia piena, i pensieri si fanno stranamente più lucidi. Sono contento di poter sedere su un qualsiasi gradino della Darsena, a fianco di un qualsiasi altro essere umano, mentre mangiamo una pietanza popolare e chiacchieriamo ammirando questo fantastico dispositivo acquatico che adesca le anime di un’intera metropoli. Da milanese adottato, penso che mi piacerebbe vedere più giovani con le chitarre, meno pubblicità, più indipendenza e meno trend. Poi ripenso che siamo solo all’inizio, e che il meglio verrà quando potremo vivere questo luogo senza dover per forza mostrare qualcosa ad un mondo che non ci interessa granché.
Di Lorenzo Barberis