Dal 19 marzo al 9 giugno 2024 presso il Pac - Padiglione d'Arte Contemporanea di Milano (via Palestro 14) è aperta al pubblico la mostra Race Traitor di Adrian Piper, a cura di Diego Sileo: si tratta della prima retrospettiva europea dopo oltre vent’anni dedicata all’artista Adrian Piper (New York, 1948), vincitrice del Leone d’Oro come miglior artista alla Biennale di Venezia 2015.
La mostra ripercorre oltre sessant’anni di carriera con importanti prestiti internazionali provenienti dai più prestigiosi musei, tra i quali il Momma e il Guggenheim di New York, il Moma di San Francisco, l’Mca di Chicago, il Moca di Los Angeles e la Tate Modern di Londra.
Affermatasi come artista concettuale, minimalista e performer nella scena artistica newyorkese degli ultimi anni Sessanta, Adrian Piper solleva domande spesso scomode sulla politica, sull’identità razziale e di genere e chiede alle persone di confrontarsi con verità su sé stesse e sulla società in cui vivono. Le opere in mostra fanno emergere in particolar modo l’analisi della patologia visiva del razzismo: attraverso installazioni, video, fotografie, dipinti e disegni l’artista porta avanti una ricerca sull’immagine delle persone afroamericane determinata dalla società e dai tanti stereotipi diffusi.
Il fulcro della sua pratica filosofica, artistica e attivista è il concetto di lotta permanente contro il razzismo, la xenofobia, l’ingiustizia sociale e l’odio. In quanto artista donna e filosofa, il lavoro di Adrian Piper restituisce anche le sue esperienze relative al sessismo e alla misoginia subiti. In questo senso la sua ricerca ha ispirato intere generazioni di artiste contemporanee.
Risultato di un lavoro di ricerca e di indagine senza precedenti, iniziato nel 2019, la mostra riunisce oltre 100 opere tra installazioni, video, fotografie, dipinti e disegni dalle quali emerge l’analisi della patologia visiva del razzismo e l’immagine delle persone afroamericane determinata dalla società e dai tanti stereotipi diffusi. Un’indagine mirata sui temi particolari della razza e del genere, contestualizzati dalle pratiche formali dell’arte minimale e concettuale che la produzione di Adrian Piper degli esordi ha portato verso questi temi, e che ora l’artista considera come un’arma a doppio taglio: il suo approccio alla lotta al razzismo americano è anche parte del processo di liberazione di se stessa e della sua persona dalla morsa malata della razza che ha sperimentato consapevolmente per la prima volta quando ha iniziato l'istruzione superiore negli Stati Uniti. In quanto artista donna e filosofa, il lavoro di Adrian Piper restituisce inoltre le esperienze relative al sessismo e alla misoginia subite. In questo senso la sua ricerca ha ispirato intere generazioni di artiste contemporanee.
Il percoso si apre con gli Lsd Paintings, disegni e opere pittoriche figurative realizzate in giovanissima età, ancor prima di arrivare alla School of Visual Arts di New York, che testimoniano il tentativo di guardare oltre la superficie delle cose, pratica che Piper ha perseguito sin da subito anche attraverso la frequentazione di letture filosofiche e spirituali vediche, la meditazione e lo yoga. La concentrazione profonda sul soggetto porta a far vibrare le superfici fino a frammentarle come accade per esempio in Lsd Self-Portrait from the Inside Out. Il nesso con la controcultura degli anni Sessanta, che l’artista frequentava in quel periodo, è evidente nel trittico dedicato ad Alice in Wonderland: un esplicito richiamo all’ambiente dell’epoca, nel quale l’opera letteraria di Lewis Carroll era particolarmente apprezzata.
L’idea di esistere in qualità di oggetto attivo nel tempo e nello spazio si manifesta nella prima performance pubblica dell’artista, impegnata all’epoca in una ricerca più strettamente concettuale. Prefiguratrice di quanto la consapevolezza politica diverrà importante nel percorso di Piper, l’opera Five Urelated Time Pieces (Meat into Meat) del 1969, prende le mosse da una performance privata durata tre giorni e racconta le contraddizioni di una relazione domestica in cui lei stessa, una donna che si avvia al vegetarianismo e inizia a interessarsi al femminismo, prepara il pasto, fatto di carne animale, per il suo compagno dell’epoca, David Rosner, un marxista convinto e politicamente impegnato.
Untitled Performance at Max’s Kansas City è stata realizzata nel 1970 all’interno dell’eponimo bar in occasione del The Saturday Afternoon Show. Come si vede nelle foto che documentano l’accaduto, Adrian Piper, isolando se stessa dall’ambiente circostante attraverso l’ottundimento dei sensi grazie a guanti, paraocchi, tappa-naso, tappi per le orecchie, si muoveva tra i tavoli e gli avventori del bar, seguita dalla fotografa. A seguito di questa esperienza, nel tentativo di misurarsi davvero con un pubblico inconsapevole e non deputato all’arte, nello stesso anno Adrian Piper inizia ad agire nello spazio urbano. Nascono così le Catalysis, in cui lei stessa diventa oggetto catalizzatore delle reazioni altrui.
È poi con la performance del 1975 Some Reflected Surfaces che si afferma l’importanza della danza all’interno della ricerca artistica di Adrian Piper, nel contesto del graduate student lounge dell’Harvard Philosophy Deparment. Qui fa la sua apparizione una versione transgender dell’alter ego maschile dell’artista - The Mythic Being, nato nel 1973 - che indossa baffi, parrucca e occhiali da sole. L’obiettivo è quello di esplorare le possibilità dell’esperienza di qualcuno con la sua stessa storia genetica, quella di riconosciuta discendenza africana, ma con un genere e un aspetto esteriore diversi dal suo. The Mythic Being diviene una presenza ricorrente nell’opera di Adrian Piper fino al 1976.
Con l’installazione Art for the Art World Surface Pattern, del 1976, la consapevolezza politica fa il suo ingresso definitivo nella produzione dell’artista. All’interno di un cubo bianco, dall’aspetto minimalista, si trova un ambiente interamente tappezzato di immagini tratte dai giornali che riportano vari tipi di atrocità avvenute nel mondo. Su queste foto l’artista imprime provocatoriamente la scritta Not a Performance, mentre un audio trasmette la sua voce che imita la tipica indifferenza dello spettatore del mondo dell’arte verso questi accadimenti.
La mostra è visitabile nei seguenti orari di apertura: martedì, mercoledì, venerdì, sabato e domenica dalle 10.00 alle 19.30; giovedì dalle 10.00 alle 22.30; lunedì chiuso. Aperture straordinarie nelle festività: 30 marzo, 1 e 25 aprile, 1 maggio e 2 giugno. Il 13 aprile, in occasione della Milano Art Week 2024, la visita è gratuita. Biglietti: intero 8 euro, ridotto 6,50 euro per visitatori da 6 a 26 anni, over 65 e disabili; ingresso gratuito per bambini di età inferiore ai 6 anni e accompagnatori di disabili. Per info 02 88446359.