La mostra si apre con Hunger Cradle (1996), una vasta e intricata installazione composta da una varietà di oggetti sospesi e tenuti insieme da una rete di fili che collegano fisicamente e metaforicamente gli elementi e che i visitatori sono invitati ad attraversare per poter incontrare gli altri lavori esposti. L’opera è nata in un contesto collaborativo, concepita per una mostra che Nari Ward ha auto-organizzato nel 1996 insieme agli artisti Janine Antoni e Marcel Odenbach in una caserma dei pompieri abbandonata sulla 141 Street di Harlem, che sarebbe poi diventata il suo studio. Per l’artista ogni componente del lavoro racchiude in sé una storia e un ricordo specifico, che vengono attivati sia dal luogo da cui proviene sia dalle reazioni che può generare negli spettatori.
Ward prova il desiderio che ogni oggetto venga modificato per creare uno spazio di indagine e trovare un altrove attraverso la collaborazione o il dialogo tra la sua storia, la vista e la relazione con il contesto. Questo aspetto della sua pratica si rifà anche all’approccio popolare di riconfigurare materiali di scarto in prodotti di consumo conferendogli una nuova funzione. Così in Carpet Angel (1992), tappetti, buste e bottiglie di plastica e corde sono utilizzati per creare una figura angelica sospesa sopra un accumulo di oggetti improvvisati in una riflessione sul senso del sacro e sulla spiritualità quotidiana. Mentre in Behold (1996) e Crusader (2005) Nari Ward trasforma un passeggino e un carrello della spesa in oggetti scultorei, ridefinendo la loro funzione sociale e il loro valore economico.
Con Ground Break (2024), opera da cui prende il titolo la mostra, l’artista è interessato all’idea di memoriale di strada, che definisce come uno spazio devozionale e spirituale di scambio non connotato da simbologia religiosa e reso tale dalle memorie collettive di una comunità. Commissionata da Pirelli HangarBicocca, l’installazione è una versione nuova e ampliata di un precedente lavoro a pavimento dell’artista, Ground (in Progress) (2015) ed è formata da circa 4000 mattoni rivestiti di rame posti a terra a comporre un disegno astratto e dai significati simbolici.
Concepito anche come un palcoscenico, il lavoro ospita performance in collaborazione con artisti e musicisti per tutta la durata dell’esposizione, oltre a presentare sulla sua superficie ulteriori opere. Inoltre, già dal titolo, Ground Break, la retrospettiva intende mettere in luce l’indagine di Nari Ward sui momenti di rottura e interruzione, che appaiano instabili e precari, ma allo stesso tempo in grado di creare speranza, dando vita a memorie alternative e nuove possibilità di esistenza al di là della storia e delle convenzioni temporali di passato, presente e futuro. Questa riflessione parte proprio dai materiali e dagli oggetti che compongono le sue opere, elementi che producono un effetto di spaesamento o sospensione sullo spettatore e al contempo danno origine a narrazioni e combinazioni inedite.
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