Dal 27 febbraio al 2 marzo 2025 (giovedì e venerdì alle 19.30, sabato alle 20.30, domenica alle 16.30) al Teatro Carcano di Milano (corso di Porta Romana 63) Paola Minaccioni veste i panni di un’antieroina del Novecento, Elena Di Porto, la matta del ghetto ebraico di Roma.
Il 16 ottobre 1943 le SS naziste rastrellano il ghetto di Roma, deportando ad Auschwitz oltre mille ebrei della comunità romana. Fra questi c’è una donna, Elena Di Porto, che fino alla sera prima ha provato ad avvertire gli abitanti del ghetto del pericolo imminente. Nessuno, però, le ha dato retta, perché Elena è la pazza del quartiere ebraico, per l’appunto detta la matta di piazza Giudìa.
In Elena, la matta Paola Minaccioni presta corpo e voce alla figura di Elena Di Porto in un monologo scritto da Elisabetta Fiorito con la regia di Giancarlo Nicoletti e con le musiche dal vivo originali di Valerio Guaraldi.
A ottant’anni da quella triste ricorrenza, lo spettacolo è un emozionante viaggio nell’Italia della Seconda Guerra Mondiale, delle leggi razziali, della paura ma anche della speranza e della solidarietà. Una straordinaria prova d’attrice fra dramma e comicità di una della più apprezzate interpreti del panorama italiano.
Elena Di Porto era un’abitante del ghetto di Roma dal carattere particolare: dichiarata pazza dal regime, non lo era affatto. Nata nel 1912 da un'umile famiglia ebraica, era una donna dal carattere singolare e ribelle, profondamente anticonformista. Separata dal marito, indipendente, antifascista convinta e temeraria, poco disposta ad accettare passivamente ogni forma di sopruso, soprattutto nei confronti degli altri.
Lo spettacolo trae spunto dal libro storico del ricercatore archivista Gaetano Petraglia, La Matta di Piazza Giudìa, che, attraverso documenti d'archivio inediti e testimonianze orali, ricostruisce con precisione la vita di questa donna straordinaria. Tra brani di repertorio e musiche originali suonate dal vivo, il racconto scenico degli itinerari interiori di Elena passa attraverso la battaglia contro le angherie del regime, la persecuzione razziale, i reiterati ricoveri nell'Ospedale psichiatrico di Santa Maria della Pietà, gli scontri con le squadracce fasciste, il confino in Basilicata, il ritorno a Roma, il vano tentativo di resistenza durante l'occupazione nazista della Capitale fino al rastrellamento del 16 ottobre 1943 e la deportazione ad Auschwitz. Il tutto in un crescendo di emozioni dove la protagonista racconta, in un romanesco addolcito, la sua vita e i suoi scatti d’ira che la mettevano nei guai quando non ce la faceva più asubire le angherie e per dirla con le parole sue je partiva er chicchero.