L'assaggiatrice di Hitler, con Silvia Gallerano e Alessia Giangiuliani

La giovane non era felice del compito assegnatole, non era spinta da nessuna ideologia politica ma diceva di avere fame e in questo modo tre pasti le venivano assicurati ogni giorno, insieme a duecento marchi di compenso. Quando le SS ordinarono di mangiare la giovane Rosa non pensò a nulla, se non solo alla fame vissuta per tutto il periodo della guerra e divorò veracemente tutto ciò che le venne messo nel piatto. Sì, perché ogni pasto poteva essere l’ultimo, ogni boccone avrebbe potuto essere letale; dopo aver consumato il cibo Rosa e le altre assaggiatrici rimasero per un’ora all’interno della mensa sorvegliate speciali dalle guardie, che ne osservarono scrupolosamente i comportamenti, per accertarsi che il cibo rivolto ad Hitler non fosse avvelenato. Rosa sapeva che ogni giorno avrebbe potuto non tornare a casa, non era felice, ma non riusciva ad opporsi; per lei quel cibo, anche se potenzialmente avvelenato, era sopravvivenza.

All’interno della mensa dove le assaggiatrici consumavano i pasti, il tempo passava e i giorni diventavano mesi; tra le giovani si crearono rapporti d’amicizia, patti segreti ed alleanze. Rosa si scoprì ancora più fragile e bisognosa dell’approvazione delle compagne, che l’avevano soprannominata la Straniera di Berlino. Nella primavera del 1944 arrivò in caserma un nuovo comandante, Albert Ziegler, che instaurò fin dal primo giorno un clima di terrore e ingiustizia; inaspettatamente tra lui e Rosa nacque un legame speciale, che poi diventò una vera e propria storia d’amore.

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