Dal 7 al 10 novembre 2024 (giovedì e venerdì alle 19.30, sabato alle 20.30, domenica alle 16.30) al Teatro Carcano di Milano (corso di Porta Romana 63) va in scena lo spettacolo Miles!, di e con Paolo Fresu.
Diretto dal Premio Abbiati per la regia Andrea Bernard, uno spettacolo sull’uomo, artista e mito Miles Davis: autore e preotagonista è Paolo Fresu (tromba, flicorno e multi-effetti), che divide il palco con Bebo Ferra (chitarra elettrica), Dino Rubino (pianoforte e Fender Rhodes Electric Piano), Marco Bardoscia (contrabbasso), Stefano Bagnoli (batteria), Filippo Vignato (trombone multi-effetti elettronici, tastiere), Federico Malaman (basso elettrico) e Christian Meyer (batteria).
Quanto vale un mito. Ma soprattutto cosa lascia. É difficile oggi individuarne di nuovi. I miti attuali nascono e muoiono con la stessa velocità del mondo contemporaneo, si accendono e si spengono come una cometa che passa o una stella cadente che lascia una scia luminosa e poi si spegne nel nulla. Mitico è qualcuno che fa qualcosa di speciale, che esce da un ordinario universalmente riconosciuto. Basta dunque un attimo per generarlo: un gesto, una parola amplificata da Internet o dalla televisione. Neanche più i giornali o i libri ma la rete del cotto e mangiato subito. Sentito e dimenticato, in musica.
Concettualmente il mito nella storia è legato a un passato remoto che ha a che fare con la conoscenza e il linguaggio ancor prima che con il rito. Con il pathos e la poesia che scaturisce dall’anima e vaga in un Mediterraneo più vasto del nostro, laddove l’afflato del soffio e della voce ne amplifica le gesta rendendolo alla storia in uno sbalzo temporale che annulla le distanze e dilata il tempo.
È ciò che ha fatto Miles Davis nel Novecento. Un artista mitico per antonomasia. L’ha fatto lasciando a noi del presente non solo un’icona, ma un soffio che è carezza e graffio. Un uomo capace di raccontare una storia recente che va al di là del jazz e della musica e la cui personalità marcata appare prepotentemente non solo attraverso la sua tromba ma anche nel viso scavato degli ultimi anni, negli occhi profondi che inchiodano lo sguardo e nelle mani rugose che hanno toccato il cuore. Mani scure che disegnano il pianeta attraverso un reticolo di linee che navigano tra gli oceani, tra l’Africa e il mondo.