Milano gotica e misteriosa: la storia del diavolo di Palazzo Acerbi

© Giovanni Dall'Orto / Wikimedia Commons
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Milano, 21/06/2024.

Immaginate la peste bubbonica del 1630, quella descritta da Alessandro Manzoni. Solo nell’Italia settentrionale più di un milione di poveracci raggiunse anzitempo il Creatore: un quarto della popolazione totale. Immaginate la disperazione, l’atrocità, la ferocia di un’epidemia che uccideva senza pietà, riempendo le fosse comuni (i fopponi) senza possibilità di cure. Fu una tragedia durata quattro lunghi anni, che raggiunse la sua acme proprio tra 1630 e 1631 colpendo duramente Milano e il suo circondario. Ebbene, durante quei momenti così lugubri e funesti c’era chi gozzovigliava a sfregio in faccia ai disperati.

È la storia del marchese Ludovico Acerbi e del suo omonimo palazzo sito in corso di Porta Romana numero 3. È la storia del cosiddetto diavolo di Milano, di un uomo senza scrupoli né remore, ricchissimo, che non temeva morte e malattia, forse perché protetto ai piani alti. Alti, ma non altissimi, e intrisi di un certo odore di zolfo; o almeno così si diceva in quegli anni.

D’altra parte, provate a calarvi nell’immaginario dell’epoca e mettetevi nei panni di un morituro del popolino: ogni sera, sul far del tramonto, il marchese se ne usciva con un ghigno beffardo e sardonico, ostentando smaccatamente i suoi gioielli, per salire su una carrozza trainata da sei cavalli neri. Le cronache parlano di un uomo sulla cinquantina, barba lunga e quadrata, accompagnato da sedici (!) giovani servitori e vestito di verdeoro. Uno spettacolo davvero infame, inscenato nel pieno della peste quando i morti erano in ogni dove e chi poteva scappava a gambe levate.

Ma per l’Acerbi il problema non si poneva: dopo aver acquistato il palazzo qualche anno prima e averlo ristrutturato in stile barocchetto lombardo, calcando pomposamente la mano su marmi, quadri, tappezzerie e stucchi, ogni occasione era buona per organizzare festosi balli e pantagrueliche cerimonie, con risate e schiamazzi che planavano sul silenzio assordante della morte meneghina.

Tutt’intorno i padri salutavano i figli e i figli seppellivano i genitori, ma Palazzo Acerbi restava immune: tra i suoi ospiti non vi erano appestati e il marchese stesso godeva di ottima salute, come lo descrivono le cronache dell’epoca mentre sfrecciava per i viali con la regale carrozza (a debita distanza dai moribondi) o si affacciava dalla finestra del primo piano. Per i contemporanei non potevano esserci altre spiegazioni: quell’uomo era il diavolo, Belzebù in persona.

Oggi Palazzo Acerbi è ricordato (anche) per la palla di cannone conficcatasi senza danni il 20 marzo 1848, durante i moti insurrezionalisti delle Cinque Giornate di Milano, proprio in facciata, alla destra del portone. Ma la dimora del Diavolo non temette la terribile peste bubbonica, cosa poteva fargli una misera cannonata?

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