Milano, 20/08/2024.
Milano, Basilica di Sant’Ambrogio. Percorrendo la navata centrale in estatico silenzio ci si imbatte in un nero serpente bronzeo arrotolato su se stesso, al punto da disegnare un cerchio con il corpo: ha coda e testa ritte e guarda verso l’interno, come per tenere d’occhio il via vai dei fedeli. Poggia su un capitello corinzio in cima a una colonna di granito e di primo acchito non si comprende proprio cosa ci azzecchi lì, tanto più che sull’altro lato della navata c’è una colonna di identiche dimensioni ma con in cima una croce. Che il serpente di Sant'Ambrogio sia un rimando al Nehushtan di Mosè che protesse il popolo in viaggio verso la Terra Promessa dai morsi velenosi delle serpi del deserto? Di certo una presenza sibilante in una chiesa non è esattamente consueta.
Leggenda narra che quel serpente fosse un dono della principessa bizantina Zoe, nipote dell’imperatore di Costantinopoli. L’arcivescovo di Milano Arnolfo II da Arsago, potentissimo esponente della Chiesa Cattolica, ricevette il singolare cadeau quando si recò personalmente nel 1001 a Costantinopoli per prelevare la bella Zoe e farla convolare a nozze con l’imperatore del Sacro Romano Impero Ottone III. Ma la futura imperatrice di Bisanzio non raggiunse l’altare perché il re dei Franchi morì prima di conoscerla, a soli ventuno anni. Così ad Arnolfo rimase il bronzeo rettile, probabilmente un’antichissima riproduzione di quello di Mosè: portarlo con sé a Milano venne di conseguenza.
Una volta collocato nella Basilica di Sant’Ambrogio, il serpente fu oggetto di venerazione. Smodata, incessante, irriverente. Nel Medioevo e nei secoli a venire molte furono le malattie a carico dell’apparato digerente: gastroenteriti per scarsa igiene, parassiti, tenia e chissà cos’altro ancora. Le possibilità per il popolo di curare le proprie pene non erano di certo infinite: si diceva che, toccando la colonna del serpente, o semplicemente fissandolo intensamente (sulla falsariga di ciò che fecero gli Israeliti) si potesse guarire grazie alle sue proprietà benefiche. Ne nacque un culto decisamente imbarazzante per la chiesa, al punto da indurre il riformatore San Carlo Borromeo a ostacolarlo in vari modi, forse facendo anche erigere nel Cinquecento la croce di fronte. Ma senza grande successo.
L’interpretazione oggi più condivisa è che la croce antistante sia in realtà un rimando al Nuovo Testamento, al Vangelo di Giovanni, alle parole di Gesù: «E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna». La contrapposizione con il noto episodio biblico sarebbe dunque simbolicamente garantita proprio ai lati della navata centrale di Sant’Ambrogio. Ma una cosa è certa: «il drago, il serpente antico che è Diavolo e il Satana» (Ap 20,2) fa sinistramente mostra di sé in un luogo che è simbolo precipuo della locale arcidiocesi: una presenza decisamente in linea con la Milano gotica e misteriosa.
Di Enrico Pietra