Il titolo della mostra, A Seed Under Our Tongue, è un riferimento alle nuove opere esposte: tra queste il film in progress Arslanbob (2023-2024) e le sculture collegate, il seme d'oro di Amanat (2024) e il calco in resina di una grotta in The Mountain Our Bodies Emptied (2024). Prendendo spunto da una leggenda locale - che parla di un seme di dattero nascosto sotto la lingua e tramandato attraverso epoche e persone diverse fino a trasformarsi - la mostra riunisce dodici opere, sei film e sette sculture, che esplorano il concetto di trasmissione e l'idea, nelle parole dell'artista, «che siamo responsabili delle sette generazioni che ci hanno preceduto e delle sette che verranno dopo di noi».
La trasmissione, tema ricorrente nell’opera di Ismailova, comporta il rischio della perdita, ma contiene anche le nozioni di ciclicità e circolarità. Allo stesso modo, la struttura della mostra riflette e ruota intorno a queste implicazioni, seguendo le storie dei due principali fiumi dell'Asia centrale, l'Amu Darya e il Syr Darya (Oxus e Jaxartes in greco), le cui acque un tempo alimentavano l'ormai arido Lago d'Aral. Disegnato in collaborazione con lo studio di architettura Grace di Milano, il layout di mostra si sviluppa tra le due grandi installazioni a tre canali che racchiudono l’intero spazio espositivo: Stains of Oxus (2016) e Arslanbob (2023-2024), film girati rispettivamente sulle rive dell'Amu Darya e nell’area oltre il Syr Darya, nell'attuale Kirghizistan. La mostra ripercorre metaforicamente il viaggio del seme di dattero - dal suo inizio, conservato nella bocca di una figura mitica di nome Arslanbob, fino al suo dono a colui che sarebbe diventato il più importante e noto mistico dell'Asia centrale, Akhmad Yassawi, che con esso fondò la foresta di noci nota col nome di Arslanbob - sottolineando la natura contraddittoria di qualsiasi forma di trasmissione, che consente a un dattero di farsi noce.
La mostra si apre con Stains of Oxus (2016), film che segue il corso del fiume Amu Darya/Oxus, raccogliendo i sogni delle persone che vivono lungo le sue sponde e raccontando la trasformazione del suo paesaggio, in particolare il drastico ridimensionamento subito durante i piani d'irrigazione sovietici. Nella regione, i sogni rappresentano un mezzo per mettersi in contatto con gli antenati e ricevere i loro messaggi. In modo simmetrico rispetto a Stains of Oxus, all'estremità opposta della mostra c'è Arslanbob, l'ultimo film di Ismailova, ancora in lavorazione, girato nell’omonimo noceto del Kirghizistan meridionale e sul vicino monte Sulaiman-Too, antico luogo di culto dell'Asia centrale. Sito avvolto da un’aura mistica e luogo di pratiche pre-islamiche, si trova nella fertile Valle di Ferghana, una delle aree più densamente popolate del mondo. Traducibile letteralmente come la porta della tigre, Arslanbob si collega anche ad altre opere della mostra, come la scultura in vetro A Guide (2024), oggetto ibrido in vetro composto da ossa di una mano umana e da quelle di una zampa di tigre.
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