Lo spettacolo riporta ai giorni nostri la vicenda della regina Orontea, refrattaria alla ragion di stato e innamorata del pittore Alidoro. La protagonista diventa una donna di potere contemporanea, figura di riferimento nel mondo dell’arte nella Milano di oggi. Ancora una volta Carsen modifica l’ambientazione ma va al cuore dei meccanismi di seduzione, inganno, sorpresa, sensualità e ironia del teatro barocco, ammiccando alla platea come faceva allora il testo, arguto ed esplicito, di Giacinto Andrea Cicognini e Giovanni Filippo Apolloni.
Andata in scena il 19 febbraio 1656 nel Teatro di Sala di Innsbruck, L’Orontea è la seconda opera composta da Antonio Cesti per la corte tirolese, dopo L’Argia del novembre 1655, e uno dei più grandi successi del secolo, con innumerevoli riprese nei teatri di tutta Europa. Il dramma per musica del fiorentino Giacinto Andrea Cicognini, scritto verso la fine del 1648 durante il suo soggiorno veneziano, fu rappresentato per la prima volta nel Carnevale del 1649 nel Teatro dei SS. Apostoli in una veste musicale di Francesco Lucio. La vicenda, ambientata in un Egitto fantastico, vede la regina Orontea respingere gli appelli alla ragion di stato del filosofo Creonte per inseguire le grazie del giovane e umile pittore Alidoro, che solo dopo infiniti equivoci e peripezie si rivelerà un principe di alto lignaggio.
Dell’opera cestiana, dal carattere leggero di autentica commedia degli equivoci, sono giunte quattro partiture manoscritte complete, due conservate a Roma (Biblioteca Apostolica Vaticana e Biblioteca del Conservatorio Santa Cecilia), una a Parma (Biblioteca Palatina, Sezione musicale) e una a Cambridge (Magdalene College, Pepys Library). Nessuna corrisponde esattamente alla versione cantata a Innsbruck nel 1656, ma tutte testimoniano le modifiche fatte per riprese successive, come l’aggiunta di arie per un cantante o gli adattamenti per un differente registro vocale.
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