Anatomia di un suicidio, con la regia di Lisa Ferlazzo Natoli

Le linee narrative delle protagoniste - Carol 1972-1993; Anna 1999-2004; Bonnie 2033-2041 - seguono un doppio movimento temporale: diacronico, muovendosi lungo i tre assi temporali delle loro vite, ma anche simultaneo, dal momento che, in scena, le tre storie accadono in contemporanea, riverberandosi l’una nell’altra. Il racconto è sostenuto da un raffinatissimo ingranaggio ritmico e linguistico, grazie al quale, quando una linea narrativa è attiva le altre due, visibili in parallelo, ne sono il contrappunto, il frutto o la matrice.

Carol, Anna, Bonnie si parlano e si cercano attraverso il tempo, le loro parole riecheggiano in una grande casa, le cui mura, negli anni, custodiscono destini, tramandano intenzioni, auspici, domande. Le loro esistenze sono infestate dall’amore, dalle aspettative e dal dolore degli altri, mariti, compagne, familiari, amiche e amici, colleghi e quasi sconosciuti. Desideri e pulsioni si intrecciano agli incontri e ai tentativi di sopravvivenza, di resistenza alla vita che ognuna delle tre donne mette in atto. Più che protagoniste in senso classico, sono tre fuochi narrativi, come vere e proprie lenti di ingrandimento su questo grande affresco che è Anatomia di un suicidio. Un racconto corale che si muove tra le epoche e che mette in atto, allo stesso tempo, nella propria struttura linguistica un esperimento di psichica collettiva per attivare immaginari, tracce memoniche e rumori genetici che si diffondono per contagio nelle vite delle une e degli altri. È un testo e un dispositivo dove il vero protagonista è forse proprio quel groviglio che è la vita, dove tutti gli incontri, anche i più minuti, lavorano come talismani e attivatori, momenti di quel presente continuo che è la molteplicità delle voci di cui si fa la comunità che siamo, che ereditiamo e che lasceremo al futuro.

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