Anatomia di un suicidio, con la regia di Lisa Ferlazzo Natoli

Carol si muove nel mondo come distratta dalla vita, c’è un qualcosa che la attira altrove e che ha il sapore liquido dei fiumi. È in bilico fra la vita e la morte. Prova con tutte le sue forze a essere una buona moglie, prova a lasciarsi amare dal marito John. Prova. Malgrado questo Carol ha una vitalità luminosa che trasmette alla figlia Anna. Semplicemente, ad un certo punto, il legame cede. Carol si tiene, si tiene aggrappata alla vita per amore.

Anna è nel mezzo, si muove tra la propria madre e la figlia. È un ripetitore, un ponte sensoriale tra ciò che viene prima e ciò che accadrà dopo. È la più contraddittoria, associativa, brillante e sensitiva, manipolatrice come solo le eroinomani sanno essere. In quel caos vitale Anna sembra attingere a una comprensione sotterranea e antica. Resiste, si disintossica, si sposa, ridipinge le pareti della casa di famiglia. Ma quel varco sotterraneo si riapre nel momento in cui è incinta: sente un sopra e un sotto, sente tutto, sente troppo. Il suo suicidio è come la fine dell’arco luminoso di una stella, una blue straggler, la vagabonda blu, che a un certo punto semplicemente esplode per eccesso di vita. Alla nascita di Bonnie.

Bonnie, a poco più di trent’anni, è medica esperta in un ospedale, intelligente, fin troppo percettiva, silenziosa. È l’ultima della stirpe. Non sa quasi nulla della madre e della nonna e prova a vivere una vita normale, prova a rompere un guscio di cui non sa la provenienza. Prova. A farsi amare, a lasciarsi invitare dai colleghi. Ma c’è quella casa che si tramandano di madre in figlia dove i ricordi si attivano quasi inconsapevolmente, c’è qualcosa che le parla dal passato. Ed è allora che Bonnie decide di togliersi la possibilità di generare per chiudere un tratto di storia familiare e fare, finalmente, legame con altro. Con la bellezza di un frutteto, con l’acqua di cui sembra circondata, con un coniglio di cui piange, libera, la morte. L’eredità per Bonnie, proprio come per Carol, sta negli spazi tra le cose, nella fine di qualcosa come possibilità d’altro.

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