Prima della Scala 2024: La Forza del Destino, trama dell'opera, foto delle prove e dove vederla

La prima versione della Forza del Destino andò in scena a San Pietroburgo il 10 novembre 1862, dopo una gestazione già complicata. La prima era programmata per il 1861, ma di fronte all’indisposizione della protagonista, Emilia La Grua, Verdi tornò a Sant’Agata e rivide profondamente la partitura: gli interventi continuarono fino all’ultimo, persino durante le prove. Per il palcoscenico del Teatro Imperiale il compositore immaginò un lavoro dalla drammaturgia nuova e distante dai precedenti: un vasto affresco volontariamente ignaro di unità aristoteliche di tempo, luogo e azione in cui i personaggi agivano su uno sfondo variopinto che mescolava nobili e popolani, sacerdoti e militari, momenti mistici e trivialità da locanda o da accampamento. La fonte principale per il librettista Francesco Maria Piave era il dramma Don Álvaro o la Fuerza del sino di Ángel de Saavedra, ma il carattere composito dell’opera era già insito nella pluralità delle fonti letterarie: nell’atto terzo trova posto una scena del Wallensteins Lager di Schiller, che Verdi aveva già in mente nel 1849 per il progetto mai realizzato dell’Assedio di Firenze.  L’estetica di Verdi qui attinse alla fantasia dell’Ariosto contro il Tasso, alla libertà di Shakespeare, Schiller e Hugo contro le imposizioni del classicismo. Come già in Macbeth e Rigoletto. Ma ora i personaggi si moltiplicano, gli spazi si allargano e aumenta il contrasto tra il sublime e il triviale. Dalla fusione dei generi si passa all’esaltazione del loro contrasto. 

La Forza del Destino è stata la prima opera che Verdi scrisse dopo l’Unità d’Italia ed è a tutti gli effetti un lavoro post-risorgimentale: il popolo che canta con una sola voce nei grandi cori di Nabucco o Macbeth ha perso la sua coesione e si presenta come una plebe cinica, affamata e dispersa. Proprio questo realismo impietoso e questo contrasto tra episodi giustapposti costituirono la principale influenza di Verdi sullo sviluppo dell’opera in Russia, con il superamento dell’eredità di Glinka e la difficile affermazione di Musorgskij e del suo Boris Godunov nel 1874. L’operazione compiuta da Verdi con la Forza del Destino e ripresa da Musorgskij è soprattutto la fusione tra il linguaggio del melodramma e la forma principe della letteratura ottocentesca: il romanzo. Dopo San Pietroburgo i ripensamenti continuarono, a partire dalla prima ripresa a Madrid nel 1863. Nel 1869 la nuova versione approntata per la Scala introdusse, oltre alla fiammeggiante Sinfonia, un finale completamente nuovo. A San Pietroburgo e Madrid il già impressionante catalogo di morti e maledizioni si concludeva, dopo il duello in scena, con il suicidio di Alvaro, furente e disperato, in un’atmosfera apertamente nichilista. Il libretto rivisto con il nuovo poeta Antonio Ghislanzoni rivelò un’altra influenza letteraria, quella di Alessandro Manzoni. Negli stessi mesi Ghislanzoni stava traendo dai Promessi Sposi il libretto dell’opera dallo stesso titolo di Errico Petrella, che sarebbe andata in scena a Lecco nel 1869. Nel nuovo finale il romanticismo nero della chiusa accesa e disperata di San Pietroburgo si distende, il duello e la morte di Carlo si spostano fuori scena, la rassegnazione si sostituisce alla bestemmia. Il sublime terzetto in cui Padre Guardiano chiama Alvaro e Leonora morente alla rinuncia e alla preghiera conclude la lunga peripezia nella pace della fede - e della morte. Pochi mesi prima della prima, il 30 giugno 1868, Verdi aveva incontrato, per la prima e unica volta, Alessandro Manzoni nella sua casa di via Morone a Milano. 

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