Dal 15 gennaio al 2 marzo 2025 è allestita alla Casa della Memoria di Milano (via Confalonieri 14), in occasione dell’ottantesimo anniversario dalla liberazione dei campi di concentramento, la mostra La storia dietro le immagini: foto del campo di Mauthausen, a cura dell'Associazione Nazionale Ex Deportati nei campi Nazisti (Aned).
Quasi 200.000 donne e uomini di oltre 50 nazionalità diverse furono deportati dai nazisti nel campo di Mauthausen, che fu aperto nel 1938 e fu l’ultimo a essere liberato, il 5 maggio 1945. Oltre 90.000 vi trovarono la morte dopo inenarrabili tormenti. Di questi, oltre 4.500 erano italiani, la gran parte di loro deportati politici: parlare di Mauthausen significa anche parlare di Resistenza e della nascita di un progetto europeo che rinnega il fascismo per costruire un futuro di libertà e giustizia.
L’esposizione, promossa dal Museo-Memoriale di Mauthausen e resa unica dalla collaborazione tra numerosi enti e associazioni di superstiti che hanno messo a disposizione i loro archivi, riunisce un’impressionante documentazione fotografica del campo di concentramento di Mauthausen e dei suoi campi satellite. Le immagini in mostra sono espressione di tre punti di vista assai diversi. Fino alla liberazione del campo è disponibile solo materiale prodotto dalle SS, mentre dal 5 maggio 1945 in poi lo sguardo è quello dei liberatori americani e degli ex-prigionieri.
Le numerose immagini scattate dalle SS, che avevano approntato un apposito laboratorio all’interno del campo, furono in parte distrutte per non lasciare prove compromettenti, ma numerosi negativi si sono salvati grazie all’eroico atto di un gruppo di prigionieri spagnoli che misero a repentaglio la loro vita con il preciso scopo di far conoscere al mondo ciò che accadeva nei lager. Le foto delle SS rispondevano a molteplici finalità: alcune servivano per documentare la gestione del campo e le abituali attività delle guardie SS, altre avevano una spiccata finalità propagandistica. Nei loro scatti non figurano mai la brutale violenza e le fatiche disumane a cui erano sottoposti i detenuti, ma un’efficiente impresa economica fondata sulla disciplina e l’organizzazione: uno sguardo che non solo omette, ma svilisce ed è anche bugiardo (come nel caso delle fotografie che inscenano finti tentativi di suicidio per mascherare fredde esecuzioni).
Completamente opposto è ciò che si vede nelle foto realizzate dall’esercito americano al momento della liberazione e nelle settimane successive. A Mauthausen, Gusen e Ebensee i fotografi dell’Us Signal Corps (il Servizio d'informazione americano) tentarono di esprimere attraverso le immagini lo shock provato in quei giorni. In tutti i campi si ripeterono le medesime visioni dell'orrore che accompagnarono la scoperta dei campi. Queste immagini sono divenute emblematiche delle atrocità naziste e dei crimini commessi nei campi di concentramento. Esse rispondevano anche allo scopo di documentare le aberrazioni di quell’ideologia e di fornire un importante contributo al fine di istruire i processi ai gerarchi nazisti. Nel documentare, a volte, lo sguardo dei liberatori sembra quasi invasivo; alcune testimonianze di sopravvissuti esprimono una certa insofferenza per l’onnipresenza dell’obiettivo fotografico dei liberatori. Altri superstiti, al contrario, non si sottraggono, consapevoli che il mondo debba conoscere gli orrori dei campi. Interessante è d’altra parte notare come l’occhio dei fotografi sembri più discreto quando ritrae le donne, inquadrando i primi soccorsi e i primi gesti di un’umanità ritrovata.
Vi è poi il punto di vista degli ex prigionieri. Nei giorni successivi alla liberazione, soprattutto il gruppo di spagnoli che salvarono dalla distruzione i negativi trafugati alle SS, e in primis Francisco Boix, utilizzò le macchine fotografiche abbandonate dalle SS per realizzare numerose foto. I loro scatti mostrano la progressiva riconquista da parte dei sopravvissuti delle proprie identità individuali e collettive, dopo essere stati a lungo umiliati, isolati e ridotti a numeri di matricola. L’accostamento delle tre prospettive fornisce un quadro ricco di spunti per capire la complessità dell’universo concentrazionario, ma anche il difficile ritorno dei sopravvissuti alla vita civile, dimostrando altresì la necessità di un approccio critico al racconto fotografico di un evento storico.
L'inaugurazione è fissata per le ore 18.00 di martedì 15 gennaio, con la presenza di Dario Venegoni (Aned Nazionale), Stephan Matyus (curatore) e Barbara Glück (direttrice del Mauthausen Memorial); introduce Tommaso Sacchi (assessore alla Cultura del Comune di Milano), con i saluti istituzionali di Wolfgang Strohmayer (console generale d’Austria), Maria Fratelli (direttrice dell'Unità Progetti speciali e Fabbrica del Vapore del Comune di Milano) e Paolo Corsini (presidente dell'Istituto Parri). In occasione dell'evento inaugurale sono poi in programma il concerto Il testamento artistico dell’orchestra di Mauthausen a cura di un ensemble di musica da camera dell’Orchestra Sinfonica di Milano e la proiezione in anteprima del video animato Perché era così micidiale la Scala della Morte a cura dell’Aned, seguiti da una visita guidata alla mostra.
La mostra è poi aperta al pubblico fino a domenica 2 marzo a ingresso gratuito dal martedì alla domenica in orario 10.30-18.30. Per info 02 88444102.