Dal 27 aprile al 10 maggio 2025 va in scena in prima assoluta per cinque rappresentazioni al Teatro alla Scala di Milano (via Filodrammatici 2) l'opera in due atti Il Nome della Rosa, libero adattamento dall'omonimo romanzo di Umberto Eco. La nuova opera è stata commissionata dal Teatro alla Scala a Francesco Filidei insieme all’Opéra National de Paris; i librettisti sono lo stesso compositore e Stefano Busellato con la collaborazione di Hannah Dübgen e Carlo Pernigotti.
Diretto da Ingo Metzmacher, Il Nome della Rosa va in scena con la regia di Damiano Michieletto, le scene di Paolo Fantin, i costumi di Carla Teti, le luci di Fabio Barettin, la drammaturgia di Mattia Palma e la coreografia di Erika Rombaldoni.
La trama, che Umberto Eco finse di aver desunto dagli scritti dell’immaginario frate francescano Adso da Melk, è quella di un giallo, ambientato in un monastero cluniacense nel 1327 dove si verifica una serie di omicidi. L’autore mostra la sua dottrina e il suo gusto della minuta descrizione della vita medievale nell’ambientazione in cui ricorrono i topoi della biblioteca e del labirinto, ma la tensione narrativa è garantita, oltre che dalla ricerca degli assassini, dalla sottesa perorazione sul valore della conoscenza e della libertà. Chiave del mistero sarà il secondo libro della Poetica di Aristotele, nella realtà perduto, in cui lo stagirita affronta il tema della Commedia.
In scena un nutrito cast formato da artisti di rilievo nel panorama operistico odierno: i due protagonisti, il novizio Adso da Melk e l’ex inquisitore francescano Guglielmo da Baskerville sono Kate Lindsey en travesti e Lucas Meachem. Il bibliotecario cieco e nemico del riso Jorge de Burgos è Gianluca Buratto; l’Inquisitore Bernardo Gui è Daniela Barcellona, anche lei en travesti; l’abate del monastero Abbone da Fossanova è Fabrizio Beggi; la sventurata ragazza del villaggio (ma anche la statua della Vergine) è Katrina Galka; l’ex dolciniano Salvatore (Penitenziagite) è Roberto Frontali; il cellario ex dolciniano Remigio da Varagine è Giorgio Berrugi; il bibliotecario Malachia è Owen Willetts; l’erborista Severino da Sant’Emmerano è Paolo Antognetti. Invece Carlo Vistoli presta la sua voce all’aiuto bibliotecario Berengario da Arundel e al miniatore Adelmo da Otranto (la prima vittima); Leonardo Cortellazzi al traduttore Venanzio e a Giovanni Dalbena; Adrien Mathonat a Girolamo Vescovo di Caffa e al Cuciniere. Infine, Cecilia Bernini è Ubertino da Casale; Flavio D’Ambra è il capo della delegazione imperiale Michele da Cesena; Ramtin Ghazavi è il Cardinal Bertrando; Alessandro Senes è Jean d’Anneaux. La voce di Adso Vecchio è restituita dal Coro diretto da Alberto Malazzi, mentre le Voci bianche del Coro dell’Accademia dirette da Bruno Casoni sono i Novizi.
Per impostare il lavoro compositivo, Francesco Filidei si è chiesto innanzitutto quale sarebbe stato il percorso narrativo di Umberto Eco se fosse stato un musicista invece che uno scrittore. Per rispondere è necessario analizzare la struttura narrativa del romanzo per tradurla in drammaturgia musicale. Un nodo centrale è la relazione che il testo intrattiene con il romanzo popolare ottocentesco, soprattutto francese (Il conte di Montecristo, I misteri di Parigi), che Filidei estende all’opera popolare ottocentesca, soprattutto italiana (Don Carlos, Il trovatore). Eco stesso, spiega Filidei, indicò la strada da seguire quando nelle Postille al Nome della Rosa parla di «un libro che assumeva una struttura da melodramma buffo, con lunghi recitativi, e ampie Arie». Eco raccontò inoltre di aver compiuto un lavoro analogo a quello realizzato da Mahler nelle sue sinfonie (e in questo senso non si può non ricordare la sua amicizia con Berio e il Terzo Movimento di Sinfonia, gravitante intorno allo Scherzo della Seconda di Mahler). Filidei sviluppa quindi il suo discorso musicale come una struttura portante di tipo sinfonico su cui si innesta una successione di arie e recitativi, quasi forme chiuse, il cui materiale è derivato principalmente dalla variazione di melodie gregoriane. È la dimensione del sacro a giustificare il passaggio dalla parola al canto.
Drammaturgicamente l’opera, che ha la struttura di un autentico grand-opéra con oltre una quindicina di personaggi, sfrutta la struttura del romanzo, in cui i fatti sono sempre presentati de relato, per dare a ciascuno un’aria. Le riflessioni teologiche e filosofiche, inserite da Eco nel libro e difficili da tradurre in linguaggio teatrale sono riflesse nella costruzione formale di alcune sezioni del lavoro, attraverso madrigalismi e strutture leitmotiviche associate alle varie tematiche proposte.
Il Nome della Rosa è diviso in sette giornate, tre delle quali formano il primo atto e quattro (l’ultima è una chiusa di breve durata) il secondo. I due atti hanno forma simmetrica e le scene sono costruite ciascuna su una nota: do, do diesis, re bemolle, re, e poi specularmente fino a tornare al do. Ne consegue un’architettura formale rigorosa, ma anche la rappresentazione grafica di un labirinto, o dell’abbraccio dei petali: un’opera in forma di rosa.
Questo il calendario delle cinque rappresentazioni: domenica 27 aprile, mercoledì 30 aprile, sabato 3 maggio, martedì 6 maggio e sabato 10 maggio, sempre con inizio alle ore 20.00. Un’ora prima dell’inizio di ogni recita al Ridotto dei Palchi è in programma una conferenza introduttiva tenuta da Liana Püschel.
Biglietti: da 26 a 215 euro + diritti di prevendita; per info e prenotazioni: 02 72003744.