Milano, 09/06/2017.
Una gita a piedi o in bicicletta sui Navigli è quel che ci vuole per una bella giornata all'aria aperta a Milano. Ma quale itinerario seguire? Il Naviglio Grande è meta eletta per milanesi e turisti durante l’estate, meno si considera però il Naviglio Piccolo, ossia il Naviglio della Martesana, che pure sta aprendo locali notturni all’aperto e aree di congregazione.
A volere il Naviglio della Martesana fu Francesco Sforza nel 1457. Tre anni dopo si diede il via ai lavori. Prima di questo ingresso, tracce della Martesana interrata negli anni Venti del secolo scorso si trovano lungo via San Marco: ci sono il tombon de san Marc, piccola darsena usata come porto fluviale e luogo di molti suicidi, e la conca dell’Incoronata, detta anche conca delle gabelle che qui si pagavano, cioè le tasse indirette sugli scambi e consumi di merci e il trasporto delle persone. Si dice sia opera di Leonardo, ma non è certo: vero è che i portoni di legno fatiscenti tuttora visibili sono identici a quelli disegnati da Leonardo da Vinci e oggi visibili nel Codice Atlantico (f. 240 r-c), conservato nella Biblioteca Ambrosiana di Milano. Risale al 3 marzo 1928 la svolta del comune di Milano, il quale decise di interrare il fossato per scongiurare il «pericolo sociale per l’attrazione che esercita sui deboli e sui vinti di una grande metropoli». Nemmeno era arrivata l’autorizzazione del ministero dei Lavori pubblici che le opere di copertura iniziarono.
Ma torniamo dove di acqua ce n’è ancora. In pochi si interessano al valore architettonico delle residenze che costeggiano il Naviliett, soprattutto a Crescenzago, e che ricordano la sua antica anima: quella di zona di villeggiatura. Cesare Cantù lo descriveva come «uno dei più ameni luoghi di villeggiatura attorno a Milano». Costruite tra il 1500 e il 1800, nel borgo esistono ancora 18 tra ville nobiliari e dimore patrizie. Nel Settecento e nel primo Ottocento, Crescenzago conquistò la fama di luogo di villeggiatura e le ville che ancora oggi si possono ammirare lungo la sponda destra della Martesana ne sono una tangibile testimonianza. Male andava invece per quelli che sono oggi Navigli della Milano da bere che a quei tempi, come il Naviglio Grande e il Pavese, erano sedi per gli operai. Basti pensare al vicolo dei Lavandai con le sue vasche per lavare la biancheria a mano.
Entrando da via Melchiorre Gioia, il nostro itinerario risale al contrario la Martesana, percorrendola da Milano verso Trezzo d’Adda, dove la frazione di Concesa confluisce le acque dell’Adda nel suo letto. Già all’ingresso del Naviglio, dietro un bar ricoperto di glicine, si cela la grande Cassina de pomm che in piena via Melchiorre Gioia illude di non essere nel capoluogo lombardo. Si può curiosare dall’alto, salendo su quello che ha sostituito il ponte di Leonardo, nei Promessi sposi, attraversato da Renzo giungendo a Milano.
Poi è street art fino all’ingresso di viale Monza sul Naviglio all’altezza di locali storici: c’è un ristorante greco da un lato, dall’altro lo storico originale Zelig e l’adiacente Ragoo. Ancora acque pulite, al punto che nel progetto di riapertura dei Navigli si intende intubare l’inquinato Seveso con cui la Martesana confluisce, per non contaminarne le acque. Qui nuotano papere, germani reali, nutrie (che, attenzione, non sono pantegane ma lontre). I più fortunati, al calar del numero di corridori, possono vederci anche aironi cinerini.
All’altezza delle fermate della metropolitana Cimiano-Crescenzago, l'itinerario prosegue attraversando via Palmanova e via Padova che gli corrono parallele, e qui inizia un vero e proprio tripudio architettonico. Si inizia con una residenza privata in mattoni che bagna le sue fondamenta in queste acque dentro cui si riflette. In alto dal balcone del terrazzo si affacciano statue. Di fronte c'è la Cascina Martesana, locale all’aperto, di fronte al quale un tempo era El bagnin de Gorla, rudimentale piscina pubblica, con una piccola vasca (idrometro), ricavata a ridosso della Cascina Quadri. Poco più avanti l’anfiteatro Martesana, di recente costruzione, anima la zona con spettacoli teatrali, concerti ed esibizioni spontanee.
Villa Lecchi - oggi conosciuta come Villa Pallavicini - ha l'entrata in via Meucci ed è edificata sul canale a ridosso del ponte. Nell’abitazione nel Settecento soggiornò anche Francesco I quando venne a visitare Milano nel 1816: arrivò troppo tardi per fare un'entrata trionfale in città che quindi decise di rinviare al giorno successivo, nel frattempo venne ospitato da Jacopo e Carla Lecchi presso la loro abitazione, come viene ancora tramandato dalla lapide dello scalone. La villa, risalente al XVIII secolo, prende il nome dalla prima famiglia che la abitò Lecchi, appunto. Nel corso dei secoli mutò più volte proprietari e funzioni. Nel XIX secolo l’abitazione si trasformò nella fabbrica di Enrico Mangili, industriale tessile e filantropo passato alla storia come l'inventore dei coriandoli. Sul muro che si affaccia sulla Martesana si possono ancora oggi vedere le tracce della ruota che sfruttava la corrente delle acque della Martesana per muovere i macchinari della filanda. Oggi la villa ospita l'associazione culturale Villa Pallavicini, a favore delle donne e della mediazione interculturale, aspetto fondamentale nella zona vicino a via Padova.
Di fronte, attraversando via Padova, alla conca Fallata, e andando per la via che portava da Milano a Bergamo e Venezia, sorge Santa Maria Rossa in via Domenico Berra. Nel X secolo questa chiesa venne dedicata alla Vergine. Nel 1540 venne ampliata dai canonici lateranensi che, sui resti dell'antica cappella edificarono una chiesa più ampia, oggi nota come Santa Maria Rossa, rossa per i mattoni a crudo che rivestono interamente sia l'esterno che l'interno dell'edificio. La Chiesa, che si affaccia sulla pittoresca piazzetta, è un tipico esempio di chiesa romanico-lombardo con il tetto a capanna sottolineato e decorato da archetti pensili intonacati di bianco. La facciata, inquadrata da robuste paraste angolari sormontate da pinnacoli in cotto, vede l’ingresso principale incorniciato da due paraste che lasciano intuire l'interno a tre navate. Dietro centralmente sorge il campanile a sinistra dell'abside. Il portale centrale in pietra con i due laterali sono sormontati da lunette a mosaico. L'interno con volte a crociera è meraviglioso: le navate sono scandite da colonne dal diametro incredibilmente ampio; le volte sono ora affrescate, ora coperte a mosaico; Cristo benedicente in mandorla illumina la navata sinistra. Oltre ai mosaici neogotici, si intravedono nel rossore che tutto illumina cicli di affreschi. Gigantesco anche il pulpito marmoreo.
Toriamo sul Naviglio per continuare l'itinerario:e superato l'antico municipio di piazza Costantino, la vecchia cascina Monti introduce a Villa Albrighi, i conti che acquistarono la residenza settecentesca nei primi anni del Novecento. Nel 2006, la villa fu oggetto di un importante progetto di recupero condotto dall'architetto Franco Mazzetti che cercò di mantenere integro il contesto architettonico iniziale e ha consentito la realizzazione di prestigiosi alloggi residenziali. All’esterno presenta una ricercata decorazione con disegni in cotto ed all’interno soffitti a cassettoni ed affreschi. Richiamati dalla villa che poco più avanti la segue: Villa Petrovic, con Villa Pino protagonista del quadro di Domenico Aspari, dipinto nel 1790 circa e conservato al museo di Milano in via sant’Andrea 6. Con le altre due residenze che si susseguono dopo Villa Albrighi, giungiamo probabilmente agli inizi del Novecento.
Villa Petrovic è neoclassica con greche in cotto, che richiamano quelle della sua vicina Albrighi. Ha una pianta quadrata cui corrisponde un continuo interno. Sulla facciata ottocentesca campeggia una torretta in stile neogotico che la sormonta segnando la villa in posizione rilevante. La villa è anche chiamata collegio tronconi perché per un certo periodo, nei primi anni del dopoguerra, era stata sede del collegio per ragazze, future maestre d'asilo. Villa de’ Ponti, anch’essa ritratta nel quadro di Aspari, è un esempio di architettura barocca, con pianta a ferro di cavallo e ingressi simmetrici. Inizialmente fu di proprietà della chiesa e fu utilizzata come luogo di villeggiatura dalla curia ambrosiana. Alla fine del XVII secolo fu acquistata dalla famiglia Monti, verso la fine del XVIII secolo passò al conte Sormani, nella prima metà del XIX si avvicendarono la famiglia Pavia e la famiglia Valerio, quindi nel 1865 fu acquistata dalla famiglia De Ponti, negli anni ’80 la proprietà è stata frazionata. Luigi De Ponti, industriale tessile, costruì una filanda sul lato ovest che sfruttava la corrente delle acque per muovere i macchinari. Lungo via Amalfi venne costruito un lungo caseggiato per le maestranze impiegate nella filanda.
L'itinerario lungo la Martesana milanese si conclude con Villa Pino, chiamata anche Villa Brasca, che nel 1958 la acquistò e restaurò. Risale al XVIII secolo, quando il generale Domenico Pino, che si fece notare combattendo contro Napoleone, la edificò. La villa in origine era dotata di un approdo per le imbarcazioni, la facciata curvilinea è spezzata da due rampe di scale simmetriche. Qui finisce l’itinerario milanese della Martesana, che per i più audaci prosegue in Brianza, fino a Crespi d’Adda. Di qui probabilmente passò anche Renzo nella sua fuga verso Bergamo.
Ma i più pigri possono imboccare l’autostrada e uscire a Trezzo d’Adda, seguendo le indicazioni per Villaggio Crespi. Dove la vocazione industriale delle ville novecentesche di Crescenzago coglie il culmine, con questo imprenditore illuminato che destina il territorio intorno al suo opificio tessile ai dipendenti. Divide il territorio in cardi e decumani e dentro la griglia ogni operaio ha la sua villetta con giardino e orto. Il padrone abita il castello. Villaggio Crespi, patrimonio dell’Unesco, è poi dotato di tutti gli spazi pubblici necessari al quieto vivere: ci sono le scuole, gli uffici, la chiesa, il lavatoio e a chiuderlo, il cimitero. Ma proprio qui ci si chiede se Crespi era davvero illuminato, dal momento che su un tappeto di croci greche (tutte uguali e in rustica pietra) a memoria degli operai incombe una enorme piramide, mausoleo del padrone. Perché né in vita né da morti padrone e dipendenti sono uguali.
Di Laura Cusmà Piccione