Milano, 18/06/2020.
Dal 19 giugno al primo novembre 2020, il Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano ospita una retrospettiva dedicata alla fotografa austriaca Inge Morath (Graz, 1923-New York, 2002), la prima donna a essere accolta nell’agenzia Magnum Photos. Curata da Brigitte Blüml-Kaindl, Kurt Kaindl e Marco Minuz, prodotta da Suazes, Fotohof e Magnum Photos, col supporto del Forum Austriaco della Cultura, la mostra Inge Morath. La vita. La fotografia è inserita nei palinsesti culturali Aria di Cultura e I talenti delle donne promossi e coordinati dal Comune di Milano.
Attraverso 150 immagini e documenti originali, l’esposizione ripercorre il cammino umano e professionale di Inge Morath, dagli esordi al fianco di Ernst Haas ed Henri Cartier-Bresson fino alla collaborazione con prestigiose riviste quali Picture Post, Life, Paris Match, Saturday Evening Post e Vogue, attraverso i suoi principali reportage di viaggio, che preparava con cura maniacale, studiando la lingua, le tradizioni e la cultura di ogni paese dove si recava, fossero essi l’Italia, la Spagna, l’Iran, la Russia, la Cina (il marito, il celebre drammaturgo Arthur Miller, ebbe a ricordare che «non appena vede una valigia, Inge comincia a prepararla»).
Il percorso espositivo dà conto di questa sua inclinazione, presentando alcuni dei suoi reportage più famosi, come quello realizzato a Venezia nel 1953, con immagini colte in luoghi meno frequentati e nei quartieri popolari della città lagunare, che sposano la tradizione fotografica dell’agenzia Magnum di ritrarre persone nella loro quotidianità. Alcune ambientazioni surreali e alcune composizioni fortemente grafiche sono un esplicito riferimento al lavoro del suo primo mentore Henri Cartier-Bresson.
Le immagini di Inge Morath riflettono le sue più intime necessità, ma al contempo sono come pagine del suo diario di vita, come lei stessa ha scritto: «La fotografia è essenzialmente una questione personale: la ricerca di una verità interiore». L’itinerario di Inge Morath prosegue in Spagna, paese che visitò spesso, fin dal 1954 quando venne incaricata di riprodurre alcuni dipinti per la rivista d’arte francese L’Oeil e di ritrarre la sorella di Pablo Picasso, Lola, spesso restia a farsi fotografare, ma anche della Romania comunista, della natia Austria, del Regno Unito.
Non poteva mancare, nel percorso espositivo della mostra al Museo Diocesano di Milano, una sezione dedicata a Parigi, uno dei luoghi del cuore di Inge Morath, dove incontrò i fondatori dell’agenzia Magnum: Henri Cartier-Bresson, David Seymour e Robert Capa. Essendo la più giovane fotografa dell’agenzia, nella capitale francese le venivano affidati lavori minori come sfilate di moda, aste d’arte o feste locali; tuttavia, in queste immagini emerge chiaramente il suo interesse per gli aspetti bizzarri della vita quotidiana.
Il sogno di Inge Morath fu sempre quello di visitare la Russia. Si avvicinò a questo paese studiandone la cultura e imparandone la lingua prima del suo primo viaggio, avvenuto nel 1965, in compagnia di suo marito, Arthur Miller, allora presidente del Pen Club (un’associazione internazionale non governativa di letterati, nel quale ebbero l’opportunità di far visita agli artisti e intellettuali russi oppressi dal regime, oltre che portare a termine programmi ufficiali): da quel viaggio nacque un ampio lavoro fotografico che negli anni successivi si arricchì da altro materiale raccolto in altre occasioni.
L’ideale giro del mondo con Inge Morath prosegue in Iran, dove riuscì ad approfondire la conoscenza di quella regione, muovendosi all’interno della dimensione femminile e cogliendo il rapporto fra le vecchie tradizioni e le trasformazioni innescate dalla moderna società industriale in una nazione fortemente patriarcale e si chiude idealmente a New York dove nel 1957 realizza un reportage per conto della Magnum: in questo periodo Inge Morath realizzò fotografie sul quartiere ebraico, sulla vita quotidiana della città, oltre a ritratti di artisti con cui strinse amicizia. New York, come testimoniato dall’omonimo libro pubblicato nel 2002, rimase un luogo importante per tutta la sua vita. Dopo il matrimonio con lo scrittore Arthur Miller, nel 1962, Morath si trasferì infatti in una vecchia e isolata fattoria a Roxbury, a circa due ore di auto da New York. Un luogo di campagna lontano dalla frenesia della città, dove crebbe i suoi due figli Rebecca e Daniel.
La mostra dà inoltre ampio spazio al ritratto, un tema che l’ha accompagnata per tutta la sua carriera. Da un lato era attratta da personaggi celebri, quali Igor Stravinsky, Alberto Giacometti, Pablo Picasso, Jean Arp, Alexander Calder, Audrey Hepburn, dall’altro dalle persone semplici incontrate durante i suoi reportage. Tra gli scatti più iconici, spicca la fotografia di Marilyn Monroe che esegue dei passi di danza all’ombra di un albero, realizzata sul set del film Gli spostati del 1960, lo stesso dove Inge conobbe Arthur Miller che all’epoca era sposato proprio con l’attrice americana. Che si trattasse di persone comuni o artisti di chiara fama, il suo interesse era sempre rivolto all’essere umano in quanto tale. Il suo stile fotografico affonda le sue radici negli ideali umanistici del secondo dopoguerra ma anche nella fotografia del momento decisivo, così come l’aveva definita Henri Cartier-Bresson. Ogni suo ritratto si basava infatti su un rapporto intenso o anche su una conoscenza profonda della persona immortalata.
Una sezione propone della mostra, inoltre, la serie di curiosi ritratti mascherati nati dalla collaborazione con il disegnatore Saul Steinberg che risalgono al suo primo viaggio a New York durante il quale conobbe la produzione artistica del disegnatore statunitense, rimanendone entusiasta. Negli anni ‘60 Steinberg aveva iniziato a realizzare la sua serie di maschere e chiese a Inge Morath di trovare delle persone da fotografare con gli abiti adatti per queste maschere. Gli scatti hanno in comune il fatto di essere ambientati nella vita quotidiana newyorkese.
La mostra Inge Morath. La vita. La fotografia è aperta al pubblico dal 19 giugno al primo novembre 2020. L'orario di apertura per visitare il Museo Diocesano di Milano e le mostre temporanee (con ingresso da piazza Sant’Eustorgio 3) è dalle 10.00 alle 18.00 dal martedì alla domenica, con chiusura della biglietteria alle ore 17.30 (la chiusura estiva è prevista dal 10 al 21 agosto 2020). I biglietti hanno un costo di 8 euro (6 euro i biglietti ridotti per bambini e ragazzi dai 6 ai 18 anni, studenti universitari muniti di tesserino, persone invalide e portatori di handicap; entrano gratis i bambini fino ai 6 anni, gli studenti delle Facoltà di Beni Culturali, Architettura e Design, Accademia di Belle Arti e i possessori dell'Abbonamento Musei Lombardia).
Per visitare solo le mostre (e in questo caso l'ingresso è da corso di Porta Ticinese 95) anche quest'anno nei mesi estivi il Museo Diocesano propone un orario serale, tutti i giorni dalle 18.00 alle 22.00: il biglietto costa, in questo caso, 10 euro e comprende - oltre alla possibilità di visitare tutte le mostre temporanee (in contemporanea con Inge Morath è anche allestita la mostra Gauguin Matisse Chagall. La Passione nell’arte francese dai Musei Vaticani) - una consumazione presso il Chiostro Bistrot: un'opportunità, dunque, per fare un tuffo nell'arte e godersi un aperitivo in uno dei locali all'aperto più suggestivi di Milano.
Per ulteriori informazioni, telefonare al numero 02 89420019 o scrivere una email alla biglietteria del Museo Diocesano.
Per garantire la miglior tutela dei visitatori, anche il Museo Diocesano di Milano ha attivato le necessarie misure di sicurezza per il contenimento del Covid-19. Innanzitutto ogni visitatore viene sottoposto, prima dell'ingresso, al controllo della temperatura corporea tramite termoscanner (che non deve superiore ai 37,5 gradi: in questo caso l'accesso viene impedito) e durante la visita è necessario mantenere sempre la distanza di sicurezza interpersonale evitando affollamenti. Nelle sale espositive l’accesso è consentito ad un massimo di 40 visitatori ogni 60 minuti.
L’uso della mascherina è obbligatorio, anche per i bambini di età superiore a 6 anni, mentre l'utilizzo dell’ascensore è riservato alle sole persone disabili o con problemi di deambulazione (all'interno della cabina possono comunque accedere non più di 2 persone per volta). Non è possibile utilizzare il guardaroba (i visitatori sono pertanto invitati a presentarsi con il minimo di accessori personali, evitando zaini e borse voluminosi) e non sono ammessi gruppi e visite guidate fino a nuove disposizioni.