Milano, 20/11/2018.
Il Mudec - Museo delle Culture di Milano presenta dal 21 novembre 2018 al 14 aprile 2019 la mostra A Visual Protest. The Art of Banksy, con oltre 80 opere del celebre artista britannico dall'identità sconnosciuta. Contro chi e cosa si rivolge la protesta dell'enfant prodige dell'arte di strada? Il mercato dell'arte, verrebbe da rispondere, visto il recente episodio per cui Banksy è balzato alle cronache, avendo distrutto la sua Girl with balloon, appena battuta all’asta di Sotheby's per 1,2 miliardi dollari, con un dispositivo nascosto dentro l'opera stessa, come ha mostrato lo stesso Banksy in un video da lui pubblicato su Instagram. D'altronde i suoi rat altro non sono che anagramma per art.
E neppure il ribelle dell'arte cede a chiudere l'arte più libera, come quella della strada, in un museo. È la prima volta che l'arte di Banksy entra in un museo pubblico italiano, ma «è una mostra non autorizzata dall'artista» ripetono incessamente sponsor, organizzatori e curatori della monografica. Operazione difficile la realizzazione di A Visual Protest: primo per le dimensioni che caratterizzano la street art, generalmente gigantesche, poi per le tecniche; secondo perché comunicare con Banksy, da sempre anonimo (sua è la dichiarazione La vera arte è restare nascosti) è impossibile; tanto quanto trovare prestatori dei suoi lavori.
Le opere sono sulla strada e non possono essere portate in un interno, sia per le dimensioni che per le tecniche usate. Banksy, in particolare, usa quella velocissima per non farsi beccare, e seriale dello stencil che con una mascherina lascia sul muro scelto la sagoma dell'immagine che si può riprodurre in serie, contro il valore tipico dell'opera d'arte del pezzo unico e del fatto a mano, dove l'imperfezione è valore aggiunto. Strappata dalla strada, la street art mantiene dell'originale i contenuti. E le sue origini.
Banksy è uno street artist della vecchia scuola interessato a lanciare messaggi di protesta nei confronti del mondo contemporaneo. Dietro ogni suo lavoro ci sono una storia e un messaggio chiaro grazie a un marcato realismo. Alcuni, addirittura, sono scritti dentro le immagini, come il ratto dentone che tiene sotto braccio un cartellone che scrive in rosso Get out while you can. Per questo la mostra apre scientificamente con i riferimenti che Banksy ha: il situazionismo, che affonda le sue radici nel marxismo, nell'anarchia e nelle avanguardie artistiche del Novecento, e tanta pop art: l'icona Marilyn Monroe è attualizzata con Kate Moss; i fagioli di Warhol sono i ratti per Bansky. Un tema, quello dei ratti, talmente usato dall'artista che un'intera sezione è loro dedicata. Sbucano da ogni parte. «Esistono senza permesso», afferma il Banksy ossessionato; «sono odiati, braccati e perseguitati. Vivono in una tranquilla disperazione nella sporcizia. Eppure sono in grado di mettere in ginocchio l'intera civiltà». I riferimenti continuano con le proteste sessantottine e i writers newyorkesi degli anni Settanta e Ottanta.
Agli inizi degli anni Novanta, Banksy si aggira per Bristol, dove frequenta i locali della cultura underground come il Tropic club o l’Old England, sperimentando quella che sarà la sua tecnica d'autore le figure seriali con il tag Banksy. La protesta si gonfia contro la guerra e le logiche che la producono: la religione, l'industria bellica, lo sfruttamento del territorio. Spesso egli inserisce elementi estranianti per attualizzare il messaggio che vuole lanciare. È il caso della serigrafia Trolley, che vede in primo piano tre indigeni nella savana dove sono stati abbandonati tre carrelli della spesa. Ampiamente indagato è anche il tema del consumismo. Prende lo scatto del fotografo Nick Ut con bambini vietnamiti che scappano dal loro villaggio appena bombardato col napalm: la bambina nuda e gravemente ustionata viene da Bansky fatta prendere per mano da Topolino e il pagliaccio del McDonald's sorridenti.
Ci sono poi tanto cinema e tanta musica: pareti intere espongono copertine di vinili e cd. Tra i tanti riferimenti cinematografici diverte quello a Pulp Fiction, dove i delinquenti Vincent e Jules impugnano non pistole ma banane di warholiana memoria. Judy Garland, nei panni di Dorothy del Mago di Oz, è invece fermata da un militare.
Promossa dal Comune di Milano-Cultura e da 24 Ore Cultura - Gruppo 24 Ore (anche produttore) e ideata da Madeinart, la mostra A Visual Protest: the Art of Banksy è aperta al Mudec - Museo delle Culture di Milano dal 21 novembre 2018 al 14 aprile 2019 nei seguenti orari: lunedì 14.30-19.30; martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30-19.30; giovedì e sabato 9.30-22.30 (ultimo ingresso sempre un'ora prima dell'orario di chiusura). Aperture straordinarie: venerdì 7 dicembre 9.30-19.30; sabato 8 dicembre 9.30-22.30; lunedì 24 dicembre 9.30-14.00; martedì 25 dicembre 14.30-19.30; mercoledì 26 dicembre 9.30-19.30; lunedì 31 dicembre, 9.30-14.00; martedì 1 gennaio, 14.30-19.30; domenica 6 gennaio, 9.30-19.30.
I biglietti di ingresso per la mostra A Visual Protest: the Art of Banksy al Mudec hanno i seguenti prezzi: intero 14 euro (17 euro per il biglietto Open); ridotto 12 euro per visitatori dai 14 ai 26 anni, over 65, persone con disabilità; ridotto speciale 8 euro per volontari Servizio Civile Nazionale e possessori di abbonamenti annuali Atm, oltre che per gli studenti universitari muniti di tesserino (questi ultimi nella sola giornata di martedì, esclusi giorni festivi); ridotto 8 euro per bambini dai 6 ai 13 anni e 4 euro per bambini dai 3 ai 5 anni; entrano gratuitamente i bambini di età inferiore ai 3 anni. Previsti anche biglietti famiglia al costo di 12 euro per 1 o 2 adulti e 4 o 8 euro per i primi due bambini a seconda dell'età (il terzo bambino entra gratis); i gruppi da 15 a 25 persone hanno diritto a un biglietto al prezzo di 11 euro. Per ulteriori informazioni - compresa la possibilità di visite guidate alla mostra di Banksy - consultare il sito del Mudec.
Un'ultima annotazione: a Milano la mostra di Banksy è promossa con spazi pubblicitari bianchi che i writers sono ciclicamente invitati a riempire con i propri graffiti.
Di Laura Cusmà Piccione