Attenzione, questi gli orari di apertura aggiornati del Mudec a partire da giovedì 27 maggio 2021: lunedì 14.30-19.30; martedì, mercoledì e domenica 10.00-19.30; giovedì e sabato 10.00-22.30.
Milano, 30/04/2021.
Dopo la riapertura a partire da martedì 27 aprile 2021 della mostra Qhapaq Ñan. La grande strada Inca (a ingresso gratuito e prorogata a domenica 20 giugno 2021), il Mudec - Museo delle Culture di Milano apre finalmente sabato primo maggio 2021 le due mostre già allestite ma mai inaugurate Tina Modotti: donne, Messico e Libertà e Robot: the Human Project.
La prima, dedicata all'attivita della fotografa Tina Modotti - una delle massime esponenti dell'arte fotografica di tutti i tempi - è allestita presso lo spazio Mudec Photo e aperta al pubblico fino a domenica 7 novembre 2021; la seconda, un viaggio attraverso la storia dei robot dalla Grecia classica fino alle ultime scoperte della bio-robotica, è visitabile fino a domenica primo agosto 2021. Di seguito pubblichiamo gli approfondimenti per entrambe le mostre, oltre alle anticipazioni sulla collezione permanente del Mudec, la cui riapertura è prevista a fine estate 2021.
Entrambe promosse dal Comune di Milano-Cultura e prodotte da 24 Ore Cultura - Gruppo 24 Ore, le mostre sono visitabili nei seguenti orari di apertura: lunedì 14.30-19.30; martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato e domenica 10.00-19.30 (ultimo ingresso sempre alle 18.30; prenotazione obbligatoria sabato, domenica e festivi). I biglietti di ingresso per la mostra di Tina Modotti hanno un prezzo di 12 euro (ridotto 10 euro per visitatori dai 14 ai 26 anni, over 65, persone con disabilità; ridotto 8 euro per gli studenti universitari ogni martedì; ridotto 6 euro per bambini da 6 a 13 anni; ingresso gratuito per bambini di età inferiore ai 6 anni), quelli per la mostra Robot costano invece 14 euro (con riduzioni maggiorate di 2 euro rispetto alla mostra di Tina Modotti). Sono disponibili inoltri biglietti per famiglie e gruppi, oltre a visite guidate e biglietti open. Per info e prenotazioni telefonare al numero 02 54917.
Tra le più grandi interpreti femminili dell’avanguardia artistica del secolo scorso, Tina Modotti espresse la sua idea di libertà attraverso la fotografia e l’impegno civile, diventando icona del paese che l’aveva accolta ma trascendendo ben presto i confini del Messico nella sua pur breve vita, per essere così riconosciuta sulla scena artistica mondiale. Ancora oggi Tina Modotti rimane il simbolo di una donna emancipata e moderna, la cui arte è indissolubilmente legata all’impegno sociale. La mostra Tina Modotti: donne, Messico e Libertà, aperta al Mudec dal primo maggio al 7 novembre 2021, promossa in collaborazione con Sudest57 e il Comitato Tina Modotti di Udine, si svolge nell’ambito del palinsesto 2021 del Comune di Milano I talenti delle donne ed è curata da Biba Giacchetti.
In esposizione un centinaio di fotografie, stampe originali ai sali d'argento degli anni Settanta realizzate a partire dai negativi di Tina, che Vittorio Vidali consegnò al fotografo Riccardo Toffoletti, il quale fu protagonista della sua riscoperta, oltre a lettere e documenti conservati dalla sorella Jolanda, e video per un racconto affascinante, che avvicinerà il pubblico a questo spirito libero, che attraversò miseria e fama, arte e impegno politico e sociale, arresti e persecuzioni, ma che suscitò anche un’ammirazione sconfinata per il pieno e costante rispetto di sé stessa, del suo pensiero, e della sua libertà.
Assunta Adelaide Luigia Modotti Mondini, abbreviata in Tina Modotti (Udine, 1896 - Città del Messico, 1942), fu una fotografa, attivista e attrice italiana. È considerata una delle più grandi fotografe dell'inizio del XX secolo, nonché una figura di grande fascino del movimento comunista e della fotografia mondiale. Le fotografie da lei scattate in Messico, dove si trasferì, illustrano la sua militanza politica, umana e politico-sociale. La sua creatività, espressa nei pochi anni che potrà dedicare alla fotografia, racconta pienamente uno spirito libero e anticonformista che anima il corpo di una bellezza mozzafiato, alla quale lei stessa assegnerà ben poca importanza. Vivrà negli Stati Uniti, in Messico, in Russia e in un’Europa degli anni ’30, profondamente divisa tra fascismo e antifascismo. Si impegnerà in prima linea per portare soccorso alle vittime civili di conflitti come la Guerra di Spagna, condividerà in questi stessi anni la propria vita con Vittorio Vidali e, al contrario del suo compagno, non potrà mai tornare alla sua amata terra natale (Udine) a causa delle sue attività antifasciste e di una morte prematura avvenuta nell’esilio messicano ad appena 46 anni, alla quale resero omaggio artisti come Picasso, Rafael Alberti e Pablo Neruda che le dedicò una celebre poesia.
La sua riscoperta inizierà negli anni Settanta grazie a Vidali, che rientrato in Italia e divenuto poi senatore, inizierà a scrivere di Tina e a rendere pubblico il suo lascito artistico, forte anche di un interesse internazionale espresso dalla grande retrospettiva dedicata a Tina Modotti dal Moma di New York, tenutasi nel 1977 in cui furono esposte quaranta fotografie. Con la nascita del Comitato Tina Modotti e con l’apporto determinante di Vidali, si avvia la ricostruzione della collezione al tempo più esaustiva delle sue opere e dei documenti che riguardano la sua vita avventurosa. Il tema della Libertà in Tina Modotti è essenzialmente legato alla sua poliedrica personalità, e si sviluppa con una coerenza priva di compromessi nell’arco della sua intera esistenza, scandita da capitoli che hanno incrociato la storia politica del mondo nell’arco della sua pur breve esistenza. Poverissima e costretta ad emigrare Tina avrebbe potuto seguire la carriera di attrice, e sfruttare la sua bellezza per il facile ottenimento di agi economici. Ma la sua scelta di libertà la porta invece verso lo studio, e l’approfondimento delle sue innate doti artistiche, coltivate nel circolo delle frequentazioni del suo primo compagno - il pittore Robo - fino all’incontro con Edward Weston, fotografo non ancora celebre che la inizia alle tecniche fotografiche. Se Weston sarà il suo mentore, si deve a Tina la scelta di andare in Messico per condividere un rinascimento artistico che poggiava su basi sociali e culturali nella particolare fase post rivoluzionaria, nelle avanguardie estridentiste, nella frequentazione di pittori e poeti: da Frida Kahlo a Diego Rivera, da José Clemente Orozco a David Alfaro Siqueiros. Tina Modotti seguirà i primi passi di fotografi come Manuel Alvarez Bravo e la di lui moglie Lola, incrocerà la grande fotografa Imogen Cunningham, poeti e scrittori come David Herbert Lawrence e Mayakovsky, musicisti, un circolo di artisti sperimentali e liberi di cui Tina a Weston diverranno in breve tempo figure di spicco. Tina smetterà di essere attrice, ma non modella. Poserà per i grandi muralisti, vivrà nei primi anni messicani una libertà di pensiero totale che si rispecchierà nello stile di vita, nei suoi comportamenti e nei suoi amori. Ma soprattutto si affrancherà rapidamente dallo stile di Weston per affermare una sua arte, un suo modo di fotografare che nel tempo resterà unico e verrà immediatamente riconosciuto a livello internazionale.
Artista, sublime e impegnata, Tina non esiterà ad abbandonare l’arte per il crescente impegno nell’attivismo politico. A causa di questo verrà ingiustamente accusata di complicità nell’assassinio del suo compagno, il giornalista cubano Mella, e poi di aver preso parte all’attentato al presidente Messicano. Tina verrà cacciata dal Messico; gli Stati Uniti l’avrebbero nuovamente accolta se avesse rinunciato alle sue convinzioni politiche. Ma la sua libertà di pensiero e la sua coerenza spinta al limite del rischio della sua stessa incolumità le fecero declinare l’offerta. Iniziò così una fase da rifugiata politica che la portò in Germania, in Russia, e poi ad impegnarsi direttamente nella guerra di Spagna in soccorso delle vittime del conflitto, con particolare attenzione ai bambini. Al termine della guerra di Spagna Tina, affaticata nel corpo e nello spirito, verrà accolta nuovamente in Messico, dove vivrà nell’ombra i suoi ultimi anni accanto a Vittorio Vidali.
Tina Modotti è oggi una fotografa che ha lasciato un’impronta indelebile nella storia contemporanea. I suoi celebri scatti compongono le collezioni dei più importanti musei del mondo e la sua fama è planetaria, come dimostra il successo d’asta di uno dei suoi scatti presenti in mostra (Prospettiva con fili elettrici, 1925) il cui originale è stato battuto all'asta per oltre 616.000 euro (Phillips, de Pury & Luxembourg, New York, aprile 2019)
Dai primi congegni meccanici dell’antica Grecia alle macchine di Leonardo, dagli automi che stupivano le corti barocche alle moderne meraviglie della tecnologia l’uomo è sempre stato attratto dall’idea di creare un proprio simile artificiale. L’avventura della robotica è un racconto affascinante, che il Mudec affronta in una mostra che mette al centro del percorso l’essere umano e il suo rapporto con il robot tra passato, presente e futuro. Robot: the Human Project è il progetto espositivo che il Mudec presenta al pubblico dal primo maggio al primo agosto 2021.
Promossa in collaborazione con l'Fondazione Deloitte e l’Istituto di Bio Robotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, e con il supporto tecnico e scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, la mostra racconta - con un approccio fortemente interdisciplinare - la storia della relazione tra l’essere umano e il suo doppio artificiale, dai primi automi fino ai cyborg, agli androidi e ai robot emotivi dei giorni nostri, svelando al pubblico i risultati concreti finora raggiunti, gli straordinari sviluppi tecnologici e le frontiere della robotica e della bionica; ne ripercorre il fascino antico esercitato sull’uomo dall’automa nell’era della meccanica, l’incessante aspirazione dell’essere umano a creare alter ego che assottigliano sempre più le barriere tra artificiale e naturale; robot antropomorfi e biomorfi dotati di un’intelligenza artificiale che necessariamente sollevano già da ora e sempre più spesso questioni etiche e riflessioni sociali ineludibili, a livello globale.
Un progetto espositivo articolato attraverso un allestimento che esalta un approccio immersivo ed esperienziale, pensato anche a misura di bambino. La mostra è diretta infatti a differenti tipi di pubblico: agli adulti che troveranno una chiave di lettura sul futuro, alle scuole che avranno modo di entrare nel mondo della ricerca e dei temi più attuali del dibattito sulla robotica, alle famiglie che potranno provare l’emozione unica di interagire direttamente con alcuni dei robot più all’avanguardia del mondo o ammirare quelli antichi in movimento. La mostra ha un triplice respiro: tecnico-scientifico, antropologico e artistico. Sono queste infatti le tre voci portate dai curatori: Alberto Mazzoni, fisico e bioingegnere, responsabile scientifico del Laboratorio di Neuroingegneria computazionale dell’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa; Antonio Marazzi, antropologo, già professore ordinario di Antropologia Culturale e direttore del corso di perfezionamento in Antropologia Culturale e Sociale presso l'Università di Padova; Lavinia Galli, storica dell’arte e conservatrice del Museo Poldi Pezzoli di Milano.
Dai matematici alessandrini agli scienziati arabi, dai grandi ingegneri del Rinascimento e del Barocco fino agli androidi settecenteschi, il pubblico ha l'opportunità di conoscere gli antenati dei robot umanoidi, antichi capolavori della tecnica, all’interno di una scenografia interattiva e immersiva che facilita l’esplorazione del funzionamento dei meccanismi antichi. Protagonisti della prima parte del percorso sono infatti gli automi antichi originali giunti da tutta Europa (in mostra, tra gli altri, l’Automa cinquecentesco di Janello Torriani, l’Automa diavolo di Manfredo Settala e la spettacolare oreficeria di Diana Cacciatrice). Queste macchine in grado di muoversi autonomamente attraverso un ingegnoso sistema meccanico nascosto furono sempre utilizzate con uno scopo ludico o spettacolare, mai pratico, sviluppandosi parallelamente nell’ambito del teatro e dell’orologeria. Durante l’epoca barocca, vera e propria età dell’oro della meraviglia e meccanica di precisione, vennero creati lussuosi automi che si muovevano grazie alle nuove meccaniche messe a punto nell’orologeria. Questi oggetti trovavano il loro luogo di elezione nelle Wunderkammern, le camere delle meraviglie create per stupire. Ed è proprio ad una di queste collezioni che si ispira la scenografia di questa sezione storica: la Wunderkammer di Manfredo Settala, dove trova spazio una delle opere-simbolo del Museo delle Culture e della mostra, il Demone-Automa: girando la manovella, il diavolo muoveva occhi e lingua emettendo suoni spettrali e fumo dalla bocca. Una videoinstallazione ne ricostruisce il funzionamento originario, così come è possibile approfondire, attraverso touchscreen a disposizione del pubblico, il funzionamento della Matrona che suona un timpano, forse il primo androide mai realizzato, magnifico quanto inquietante automa del genio cremonese rinascimentale Janello Torriani.
È con l’avvento dell’elettronica che la ricerca robotica realizza un vero e proprio salto quantico. Con l’era dell’elettronica e del calcolo elettronico si apre un nuovo mondo di possibilità, introdotto in mostra da una sezione ad hoc, realizzata grazie al supporto della Fondazione Natale Capellaro - Laboratorio-Museo Tecnologicamente di Ivrea, che raccoglie l’eredità tecnico-scientifica e culturale dell’industria Olivetti. Se è vero infatti che i primi sussidi mnemonici e le prime tecniche di calcolo risalgono all’antichità e poi le calcolatrici meccaniche accompagneranno lo sviluppo dell’era industriale, è con l'elettricità e quindi l'elettronica che si alimentarono meccanismi computazionali sempre più complessi, ampliando esponenzialmente le possibilità di elaborare informazioni alfanumeriche, fino ad arrivare alla realizzazione dei moderni personal computer.
Tra i pionieri nel campo di queste applicazioni si distinse l’italiana Olivetti, che nella seconda metà degli anni Cinquanta cominciò a produrre calcolatori meccanici a funzionamento elettronico. Sono computer inizialmente rudimentali, dalle enormi dimensioni e dalle capacità ridotte ma che tracciano la strada per gli avanzati software odierni. In mostra i primi calcolatori meccanici Olivetti, come la Olivetti Programma 101, classe 1965, il primo computer da tavolo al mondo, oggi esposto al Moma di New York.
Il successivo salto epocale si ha con l’avvento dell’era digitale, che comporta una crescita esponenziale della possibilità di elaborazione dei dati. Figura emblematica dell'evoluzione artificiale dell’era dell’elettronica è il robot, specie nella forma dell'androide, versione tecnologicamente avanzata del sogno antico rappresentato dall’automa. La bionica - la sezione dei robot umanoidi - ripara organi, ripristina funzioni vitali, integra o sostituisce arti umani mancanti o perduti con veri e propri pezzi di ricambio, fondendo organico e inorganico e avvicinando sempre di più l’artificiale all’uomo, come spiega questa sezione in cui sono in azione arti artificiali a scopi biomedici. Ne è un illustre esempio l’ultimissimo prototipo di arto artificiale tutto made in Italy, Mia, la mano interattiva sviluppata nel 2018 da Prensilia, spin-off dell’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Vero e proprio prototipo rivoluzionario, Mia può interagire direttamente con il sistema nervoso centrale in quanto collegata alle terminazioni nervose superstiti di un arto mutilato. Come una vera mano, chi la indossa può ritrovare la funzionalità del movimento naturale; è infatti il pensiero tradotto in impulsi elettrici, e non uno stimolo meccanico, a farla lavorare. La realtà del cyborg, l’umano con innesti artificiali che riesce a riprodurre in silico le attività biologiche responsabili delle funzioni cognitive umane, erode sempre di più il confine tra artificiale e umano: qual è il limen tra esigenza di ripristino funzionale di un arto dovuto a una patologia o a un incidente e il potenziamento ad infinitum delle caratteristiche psicofisiche umane? E per quali scopi?
L’interazione uomo-macchina avviene oggi a un livello cosiddetto collaborativo, ovvero di aiuto e assistenza all’uomo, sia nella quotidianità che in situazioni di rischio. I robot umanoidi negli ultimi tempi stanno conquistando progressivamente la fiducia dell'uomo con i loro comportamenti, dopo un iniziale timore diffuso legato alla somiglianza con l’uomo che invece di avvicinare in realtà allontanava le persone, creando diffidenza. I Cobot (da collaborative robot) sono robot che sanno riconoscere e suscitare emozioni e sono connotati da un’utilità e accettabilità sociale che sono le loro caratteristiche dominanti. Sono ormai i nostri compagni di viaggio, vivono tra noi e con noi. Interagiscono fisicamente con l'uomo nello spazio di lavoro, assistono gli anziani, fanno da infermieri, giocano e aiutano i bambini nel fare i compiti. In un vero e proprio percorso esperienziale pensato per una fruizione ad hoc anche da parte del pubblico dei giovanissimi, nelle sale i visitatori possono interagire con i robot umanoidi, camminando e parlando con loro: attraverso scambi di sguardi, espressioni, dialoghi inaspettati, i robot possono suscitare meraviglia, commozione, ilarità, empatia, innescando un desiderio di confronto che rimane impresso nella memoria di chi ha la fortuna di interfacciarsi con loro.
Le ricerche e le invenzioni sorprendenti nella robotica hanno stimolato la fantasia umana anche nei campi dell’arte, della letteratura e del cinema. La fantasia da sempre ha influenzato lo sviluppo tecnologico, e viceversa. Pop Culture, così si chiama la sezione che accompagna lo spettatore lungo tutto il percorso, racconta il vastissimo mondo dell’immaginario fantascientifico noto al pubblico, in un continuo dialogo tra frontiere della scienza e immagini della fantascienza. Dai personaggi di Asimov a Wall-E, da Pinocchio a Jeeg Robot, da Metropolis a Blade Runner, attraverso filmati, fumetti manga e maquette dei super eroi conosciuti e amati da tutti perché parte della nostra cultura di massa. Il percorso sull’immaginario fantascientifico è curato dal collezionista ed esperto di Pop Culture Fabrizio Modina.
A cinque anni dall’apertura il Mudec, nato per accogliere e presentare al pubblico le collezioni etnografiche civiche, ha deciso di rinnovare il percorso permanente, che nel primo lustro di vita del Museo delle Culture di Milano ha coinvolto, attraverso il progetto espositivo Oggetti d’incontro, un gran numero di visitatori e il sostegno di studiosi, appassionati ed istituzioni partner. Ora i molti stimoli del pubblico e della comunità scientifica sono stati raccolti per dar vita a un nuovo, secondo progetto allestitivo che valorizzerà le collezioni etnografiche del museo: si intitolerà Il mondo visto da qui e aprirà al pubblico il 16 settembre 2021.
Con 9000 oggetti di etnografia provenienti dai quattro continenti, 800 opere donate e 200 finora restaurate, la collezione permanente del Mudec nei primi 1500 giorni d'apertura ha proposto 25 mostre Focus che hanno diversificato e reso più interessante il racconto dei materiali che il Mudec conserva nei suoi caveaux. Le luci della collezione permanente si sono spente simbolicamente a fine febbraio 2021, esattamente a 5 anni dall’apertura del Mudec: verranno riaccese il 16 settembre, con la riapertura delle sale ai visitatori e con un nuovo racconto, tutto da scoprire. Il mondo visto da qui si pone l’obiettivo di raccontare alcuni fenomeni che hanno profondamento trasformato la nostra società, a partire da storie lombarde particolarmente emblematiche. Le opere del museo saranno ripresentate all’interno di una inedita visione in cui ripensare i rapporti, le connessioni e gli scambi che avvennero nel territorio lombardo, partendo dalle testimonianze della cultura materiale. In un viaggio fatto di oggetti, il visitatore ripercorrerà alcuni temi cardini della storia globale attraverso una lente milanese. Quella che oggi chiamiamo globalizzazione, infatti, è un processo che affonda le radici nel periodo moderno e ha come chiave di volta, dal punto di vista occidentale, l’apertura della vecchia Europa al mondo a seguito dell’era delle grandi navigazioni.
Milano è spesso definita la città più internazionale d'Italia: sebbene per breve tempo capitale dell'Impero Romano, è soprattutto all'inizio dell’età moderna che il profilo internazionale della città inizia a definirsi. Proprio da qui partirà il racconto, attraverso una narrazione che parte dagli oggetti del patrimonio del Comune di Milano e della regione, specchio tangibile dei fenomeni sopra accennati. Il pubblico sarà introdotto e accompagnato in una riflessione e lettura di questi oggetti, tra dipinti e stampe e, in taluni casi, esperienze immersive. La città, il suo territorio e il suo tessuto sociale ed economico verranno inseriti in dinamiche più ampie, dall’era delle grandi navigazioni alla società dei consumi, dall’età coloniale alla Milano multiculturale. Alla ricerca, appunto, della vocazione internazionale della sua gente.