Milano, 21/05/2021.
Dopo Mostri senza nome - Roma, arriva una nuova produzione originale italiana, Mostri senza nome - Milano, la docu-serie in 4 episodi dedicata ai cold case più oscuri che hanno stravolto Milano e il suo hinterland: le puntate vanno in onda da martedì 25 maggio 2021 su Crime+Investigation (canale 119 di Sky) alle ore 22.55.
La protagonista della serie è la città di Milano, centro propulsore del boom economico e terra promessa per centinaia di migliaia di immigrati, all'avanguardia nel campo del terziario, cuore pulsante non solo della Lombardia ma dell'Italia intera. Una metropoli indubbiamente affascinante, ma anche la città raccontata da Scerbanenco, famosa anche per le imprese della banda Vallanzasca. Ad accompagnare il pubblico televisivo in questo viaggio in una Milano cupa e piena di ombre è il conduttore radiofonico Matteo Caccia: attraverso le testimonianze dei parenti delle vittime, magistrati, avvocati e criminologi, Caccia esamina caso per caso quattro cold case che hanno caratterizzato Milano e provincia.
Con il delitto del professor Roberto Klinger e con quello dell'antiquaria Adriana Levi si fotografa l'anima di Milano, fornendo uno spaccato dell'alta borghesia milanese. Con i casi Lidia Macchi e Gianluca Bertoni, il cui cadavere venne ritrovato nel lago Maggiore, si racconta la provincia lombarda e i suoi legami con il capoluogo. Di seguito tutti i dettagli degli episodi di Mostri senza nome - Milano.
Il 5 gennaio 1987 Lidia Macchi, studentessa modello di 21 anni, capo scout della sua parrocchia e attivista di Comunione e Liberazione, venne uccisa con 29 coltellate a pochi chilometri dall’ospedale di Cittiglio, nel varesotto. Prima di morire, Lidia aveva avuto il suo primo rapporto sessuale, e forse proprio con il suo carnefice. Nel novembre del 1987, il programma tv Giallo, condotto da Enzo Tortora, lanciò una campagna per sottoporre gli abitanti di Varese alla prova del Dna, il test che in Inghilterra aveva appena permesso di arrestare l’assassino di due ragazze. Vennero convocate in questura quattro persone, tra cui un compagno di scuola di Lidia, per effettuare un prelievo di sangue. I risultati, arrivati direttamente dal Regno Unito, non portarono a nulla. Nel 2014, dopo anni di silenzio investigativo, Giuseppe Piccolomo, già condannato all'ergastolo per l'omicidio di una donna, fu accusato di essere il killer di Lidia. Ma il codice genetico dell'imputato non coincideva con la traccia rimasta sul bavero della giacca della vittima e Piccolomo venne scagionato. Ormai sembrava tutto finito quando nel 2015 ci fu una nuova svolta: Stefano Binda, ciellino ed ex compagno di liceo di Lidia, fu incastrato da una lettera. Il giorno dei funerali, il 10 gennaio 1987, i genitori avevano ricevuto una lettera anonima scritta probabilmente dall’assassino. Patrizia Bianchi, amica di Binda, dopo aver visto la lettera del 10 gennaio in televisione, riconobbe la grafia di Binda. Anche secondo una perizia la scrittura era uguale. Binda fu quindi arrestato e condannato all'ergastolo per l'omicidio di Lidia Macchi. Durante il processo di appello vennero però riviste le perizie grafologiche sugli scritti di Binda, che venne assolto. La corte di Cassazione, il 27 gennaio 2021, ha rigettato il ricorso e confermato l'assoluzione per Stefano Binda.
Un delitto clamoroso che ha sconvolto Milano e una rispettabile e importante famiglia milanese. Per la prima volta in assoluto, la vicenda viene raccontata attraverso la testimonianza del figlio della vittima, il professor Marco Klinger. La mattina del 18 febbraio 1992 i giornali uscirono con la notizia dell'arresto del presidente del Pio Albergo Trivulzio Mario Chiesa. Il primo masso della valanga che da lì a poche settimane sarebbe diventata l’inchiesta Mani Pulite, la più grande indagine sulla corruzione della storia d’Italia. Ma il professor Roberto Klinger, noto medico milanese, endocrinologo e diabetologo di fama internazionale con un passato al servizio della Grande Inter di Helenio Herrera e del Basket Cantù, quella mattina non fece neppure in tempo ad aprire il giornale: venne ucciso mentre sale sulla sua Panda che da via Muratori doveva portarlo alla clinica Pio X dei padri Camilliani. Un killer lo colpì con tre colpi: due alla testa e uno al torace. Chi sia quell’uomo che due testimoni videro fuggire di corsa verso il centro resta però un mistero. Un mistero destinato ad alimentare varie piste, ipotesi di scambi di persona e vendette mafiose, suggestive ricostruzioni di coinvolgimenti di terroristi neri. Per chi indagò inizialmente sulla morte del professor Klinger, che oltre ad essere un importante medico anche per il suo lavoro nello sport, era anche un affascinante e notevole pittore, però, dietro quel delitto ci fu una pista ben precisa: l’azione di un collega, un medico con disturbi psichici e contro il quale Klinger avrebbe dovuto testimoniare in una causa. Alla fine, però, anche questa pista non portò a nulla.
«Ci vediamo più tardi», disse ai suoi genitori, poi svanì nel nulla. Gianluca Bertoni, 22 anni, viveva a Somma Lombardo, in provincia di Varese. Era un ragazzo e uno studente modello al quarto anno della facoltà di Veterinaria. Era la sera del 7 dicembre del 1990 e Giancarlo Bertoni, 49 anni, dipendente della Olivetti, salutò il figlio che stava per uscire con la sua auto per raggiungere la fidanzata Barbara, che abitava a due chilometri di distanza. Erano le otto di sera: da quel momento di Gianluca non si ebbero più tracce. Gianluca è scomparso nel nulla. Qualche giorno dopo, però, il 12 dicembre, quattro cacciatori trovarono la sua auto, bruciata, in fondo a un sentiero poco distante da un laghetto tra Sesto Calende e Angera. Partirono le indagini per quello che sembrava un rapimento. C'era anche un testimone, un amico di Gianluca, che disse di averlo visto in macchina, lato passeggero, con altre due persone, verso le 20.30, in una strada provinciale. Ha provato a salutarlo ma il ragazzo non si è girato. Il 12 gennaio 1991 il corpo di GIanluca riaffiorò su una sponda melmosa del Lago Maggiore: a trovarlo fu il custode di uno stabilimento, chiuso in un sacco, incaprettato e con una catena e un grosso masso attaccati al collo. Secondo l'autopsia la causa della morte sarebbe stato un violento colpo alla testa, forse un cric. Furono sentite diverse persone e si pensò alla criminalità organizzata, visto che il modus operandi sembrava quello di un'esecuzione in piena regola. Ma Gianluca non aveva nulla a che fare con quel mondo. E non si arrivò a nulla. Tutti gli elementi utili alle indagini vennero repertati e custoditi: anni dopo, nel 2009, venne ulteriormente analizzato il materiale genetico rinvenuto sul nastro adesivo impiegato per chiudere il sacco, ma senza esito. Il delitto Bertoni rimane, ancora oggi, a tanti anni di distanza, uno dei tanti casi irrisolti.
Sullo sfondo la Milano vinciana, quella di corso Magenta e Santa Maria delle Grazie e dell'Ultima Cena di Leonardo. Al centro un delitto inspiegabile. La vittima è Adriana Levi, una donna ebrea forte e coraggiosa di 66 anni. Sopravvissuta alla guerra e alla deportazione nei campi di concentramento, era una ricca antiquaria, proprietaria del negozio Al Cenacolo e la sua casa, al pianterreno di corso Magenta, era piena di oggetti di valore. La sera del 19 dicembre 1989 a cena, per gli auguri di Natale, c'erano alcuni ospiti. Nessuno di loro la avrebbe rivista. A trovarla, il giorno dopo, in terra davanti alla camera da letto, in camicia da notte, col volto tumefatto e in una pozza di sangue, furono la vicina e il dipendente del negozio. L'autopsia rivelò ferite da taglio al collo, ma la morte sarebbe stata causata da un colpo pesante in viso. Dai cassetti aperti mancavano gioielli e alcune decine di milioni di lire. Una finestra era aperta: la via di fuga dell’assassino? Inizialmente si pensò a una rapina finita male che di certo, però, non poteva giustificare tanta ferocia. Un mese prima la donna era riuscita a sventare una rapina in casa sua, trovandosi di fronte i ladri. Denunciò il crimine, ma non riconobbe nessuno dei volti sulle foto segnaletiche della Questura. I poliziotti della Squadra Omicidi poi concentrarono la loro attenzione su uno degli ospiti invitati alla cena: un uomo di 35 anni, l'ultimo ad aver visto Adriana viva. La moglie di lui disse di averlo visto in casa, davanti alla tv nell'ora ora dell'omicidio. Un altro mistero ossessiona gli investigatori. Quella notte l'allarme di casa collegato alla questura scattò alle 03.21 e venne reinserito in modo sospetto: arrivò anche una volante, ma non notò nulla di strano e andò via. Il mattino seguente, durante i rilievi, l'antifurto venne trovato inserito in tutta la casa. Strano perché la donna si preparava ad andare a letto, quindi in quel quadrante doveva aver disinserito l'allarme, come faceva sempre.