Milano, 14/06/2021.
Nel 1933 nasceva a Milano il Gdc (Gruppo Femminile Calcio), la prima squadra di calcio femminile d’Italia: tredici formidabili ragazze, guidate da tre sorelle, Rosetta, Marta e Giovanna Boccalini, determinate a sfidare il regime fascista per poter giocare a calcio. In quegli anni non era consentito alle donne praticare sport e attività che non fossero femminili tanto che i giornali, anche quelli sportivi, si affrettarono a commentare che «l’Italia fascista aveva bisogno di buone madri e non di virago calciatrici». Le giovinette del Gruppo Femminile Calcio però non ebbero paura e continuarono ad allenarsi fino a disputare la prima storica, ma anche ultima partita, l’11 giugno del 1933. Dopo il match la squadra fu sciolta, ma loro rimasero nella storia di Milano e dell’Italia.
Il 12 giugno 2021, nell’anniversario della celebre partita, il Comune di Milano ha intitolato alle calciatrici del 1933 una via all’interno del Parco Sempione, dietro all’Arena Civica (lato via Legnano) e ha posto un totem per ricordarne la storia. Alla cerimonia hanno partecipato il ssindaco di Milano Giuseppe Sala, la consigliera comunale Anita Pirovano, promotrice dell’iniziativa in Consiglio Comunale, Elisabet Spina di Milan Academy, Ilaria Pasqui, responsabile del Settore Femminile dell'Inter, e i familiari delle formidabili ragazze hanno svelato un totem con la storia delle intrepide giovinette. Presente alla cerimonia anche la giornalista Federica Seneghini, autrice del libro Giovinette: le calciatrici che sfidarono il Duce, e Marco Giani che ha curato il saggio contenuto nella pubblicazione.
L’area verde intitolata alle Calciatrici del 1933 si trova tra le vie Legnano, Comizi di Lione e Legione Lombardia, e non è distante dall’Arena Civica dove al loro tempo scendeva in campo l’Ambrosiana Inter, di cui molte di loro erano tifose. Benché fu imposta loro la regola di non mostrarsi al pubblico e di giocare solo con moderazione e per diletto, la curiosità e la partecipazione della gente alla prima partita non mancò. Ragion per cui forse in molti si affrettarono a porre fine alla loro esperienza di calcio amato e giocato e di voglia di libertà.