Dal 4 marzo al 17 giugno 2023, in anteprima assoluta per l’Italia, alla Casa di Vetro di Milano è allestita la mostra fotografica Duck and Cover: storia della Guerra Fredda, che ripercorre il conflitto semi-armato che ha contrapposto le democrazie liberali alle dittature comuniste capitanate dall’Unione Sovietica e dalla Repubblica Popolare Cinese.
L’esposizione, realizzata con immagini provenienti in gran parte dagli Archivi di Stato americani (tra cui quelli della Cia) e curata dal giornalista pubblicista Alessandro Luigi Perna, è articolata in un innovativo formato espositivo che propone 65 fotografie iconiche e ampli testi di approfondimento. Nella sua narrazione, concepita sia per un pubblico adulto che per gli studenti di scuole e università, il curatore non solo ripercorre i principali fatti dell’epoca ma cerca anche di proporre una prospettiva laica su un pezzo della storia contemporanea ancora raccontato e deformato attraverso la propaganda e le ideologie delle parti contrapposte, protagoniste ancora oggi, nelle loro versioni aggiornate, del dibattito ideologico, politico e culturale delle democrazie liberali e delle autocrazie sparse per il pianeta.
È un’operazione difficile quella di raccontare la Guerra Fredda, perché non fu solo un conflitto globale tra alleanze di nazioni ma fu, anche, una permanente guerra civile sia ideologica che di classe altrettanto semi- armata all’interno degli stati coinvolti, cioè in pratica tutti quelli del pianeta. Chi era sotto la dittatura, non importa se rossa o nera o di altro colore, e voleva rovesciarla si confrontava con chi all’interno del proprio paese invece la supportava in nome dell’ideologia o delle posizioni di rendita raggiunte all’interno del regime di cui era complice o suddito. Chi invece era cittadino delle democrazie liberali e credeva nei suoi principi si confrontava con chi le voleva proprio soppiantare - a colpi di maggioranza o attraverso insurrezioni, colpi di stato o rivoluzioni - con una dittatura fascista o marxista o semplicemente militare.
In paesi come Francia, Italia e Germania, la guerra civile strisciante portò negli anni Settanta e Ottanta del Novecento alla nascita di numerose formazioni armate di estrema destra ed estrema sinistra, spesso sospettate di essere eterodirette da stati terzi, che diedero vita a quelli che nel nostro paese furono definiti gli Anni di Piombo. Un periodo terribile in cui nelle strade gli scontri violenti a colpi di spranghe e bastoni tra studenti con opposti orientamenti ideali e politici si alternavano a quelli tra ragazzi di ogni fazione contro la polizia. E in cui erano all’ordine del giorno pestaggi, rapimenti, gambizzazioni e assassinii commessi da bande rivoluzionarie armate con mille sigle diverse anche quando contigue dal punto di vista ideologico. Le vittime erano scelte per la loro presunta responsabilità personale in atti professionali (era il caso di giornalisti, sindacalisti o manager di aziende) o perché simboli istituzionali e politici da colpire (come era nel caso di giudici, forze dell’ordine, esponenti politici). A tutto questo, in Italia, si aggiungevano gli attentati fatti a colpi di bombe in luoghi pubblici che non erano rivendicati da nessuno e perciò non avevano una chiara matrice. Anni dopo saranno attribuiti a forze neofasciste, infiltrate nelle istituzioni nazionali e interessate a mantenere un clima di terrore in una logica definita Strategia della Tensione.
Nel racconto della Guerra Fredda, Alessandro Luigi Perna suggerisce una riflessione sugli effetti della real politik portata alle sue estreme conseguenze, affrontando anche la questione terribile, per il fronte democratico, di tutte le dittature di destra che vennero supportate, per quanto sanguinarie e feroci, per contrastare l’espansione nel mondo delle dittature di sinistra in versione leninista, trozkista, stalinista o maoista. Il curatore lo fa a partire dagli interventi americani in Sudamerica che portarono spesso al comando, in funzione anticomunista, gruppi di potere sostenuti da militari che misero in atto politiche di repressione violentissime e sanguinarie. Il loro comportamento gettò un totale discredito sulla reputazione degli Stati Uniti e dei loro alleati democratici, visti da una parte rilevante delle opinioni pubbliche internazionali come ipocriti complici di assassini feroci e senza scrupoli. Infine approfondisce un aspetto poco considerato in genere dai commentatori: come l’instaurazione, provocata e sostenuta dall’Unione Sovietica nella logica della Guerra Fredda, di regimi di ispirazione comunista o socialista (declinati spesso in versione nazionalista e anticolonialista) nei paesi islamici abbia migliorato la condizione femminile a livello locale e diffuso in ogni strato della società quei valori laici che hanno permesso alla popolazione di uscire da una condizione permanente di oscurantismo religioso e di eterno feudalesimo medievale.
Alessandro Luigi Perna cerca infine di affrontare i tanti paradossi di quell’epoca: come, per esempio, quello dei giovani appartenenti a classi sociali benestanti all’interno delle democrazie liberali che inneggiavano, in nome di un supposto mondo nuovo più libero e giusto, ai leader delle dittature comuniste mentre all’interno delle dittature comuniste i loro coetanei invece si ribellavano e scendevano in piazza a protestare, e spesso a farsi ammazzare, proprio in nome dei valori delle democrazie liberali. Si sofferma inoltre su quanto sia stato assente all’interno del dibattito pubblico, in particolare nelle democrazie liberali, la riflessione su chi avesse torto o ragione all’epoca, tanto che molti di coloro che erano stati dalla parte sbagliata, a destra come a sinistra, oggi sono leader di schieramenti politici che sostengono la necessità di mantenere un sistema laico e democratico ma stentano a condannare il loro passato e a riconoscere i loro errori ideologici, etici, morali e politici.
Una questione lontana dall’essere risolta visto che la spaccatura tra paesi che sono stati sotto il dominio sovietico e quelli che non lo sono stati è fortissima in seno all’Unione Europea. Un problema che viene sempre alla ribalta quando i primi cercano di far proibire l’esistenza di partiti comunisti marxisti pretendendo che siano paragonati a quelli di ispirazione fascista o nazista e i secondi vi si oppongono, non riconoscendo nel marxismo in sé una fonte di delegittimazione della democrazia liberale o di ispirazione a combatterla e rovesciarla con la violenza, sebbene proprio al suo interno ci siano i fondamenti che hanno portato all’instaurazione di dittature comuniste. Il dibattito, lungi dall’essere risolto, è ancora in corso dal punto di vista politico, morale, filosofico e storico.
La Guerra Fredda si concluse con la vittoria delle nazioni democratiche negli anni Ottanta che, grazie al rilancio della corsa agli armamenti nello spazio da parte degli Stati Uniti di Ronald Reagan, ottennero un vantaggio strategico militare che l’Unione Sovietica non riuscì a colmare. Il suo impegno nel tentativo di eguagliare militarmente i suoi avversari la trascinò sull’orlo del fallimento economico. Un ottimo motivo per la dirigenza comunista di Mosca per porre fine al confronto con gli stati democratici liberali prima del crollo totale e per cercare di riformare un sistema che stava ormai collassando dall’interno anche dal punto di vista politico, sociale e culturale. Sebbene i tentativi fatti da Gorbaciov, l’ultimo leader dell’Urss, di mantenerlo in vita dandogli una forma nuova con gli strumenti della Glasnost’ (trasparenza) e della Perestròjca (ricostruzione), la dissoluzione dell’impero del socialismo reale dell’Unione Sovietica in Europa e Asia Centrale divenne inarrestabile. Neppure l’uso della forza riuscì ad arginare il desiderio di libertà non solo di quelle Nazioni con una storia statale e di indipendenza remota (come i paesi dell’Europa Centrale e Orientale) ma anche di quelle che per secoli erano state considerate parte integrante della Russia imperiale e zarista (per esempio i Paesi Baltici e soprattutto l’Ucraina). L’ultimo e finale capitolo della storia dell’Unione Sovietica risale all’estate del 1991 con il fallito golpe di Mosca, in cui le forze comuniste reazionarie sostenute da una parte dell’esercito furono sconfitte e venne instaurata di lì a pochi mesi una repubblica democratica.
Il confronto con l’Urss si è concluso certamente con la sua caduta, ma quello con la Russia e le sue ambizioni imperiali secolari, non importa la forma di governo che la regge, ha avuto solo una temporanea battuta d’arresto. A prezzo di grandi sacrifici per la popolazione russa, l’integrazione di Mosca con l’Occidente ha infatti alla fine funzionato dal punto di vista economico ma non da quello ideale e politico. A dimostrarlo il progressivo scivolamento del paese in una dittatura mascherata da democrazia e l’invasione dell’Ucraina del febbraio 2022 in nome di un neo imperialismo di stampo zarista che ha rigettato il mondo nel terrore di una guerra totale combattuta non solo con armi convenzionali ma anche atomiche.
Con la fine della Guerra Fredda non è finito neppure il confronto con la Repubblica Popolare Cinese. L’Occidente ha infatti sperato, coinvolgendola nel commercio internazionale e nel mondo contemporaneo, in una sua evoluzione democratica, se non per convinzione almeno per osmosi. Il regime cinese ha risposto approfittando delle nuove circostanze per diventare più potente e minaccioso, rivestendo la sua mano di ferro in un guanto di raffinato velluto, ma non ha cambiato di una virgola la sua prospettiva ideologica e politica dimostrando che il capitalismo può prosperare in una società comunista ma non è affatto motore di per se stesso di democrazia. Oggi la Repubblica Popolare Cinese è alleata della Federazione Russa e l’appoggia di fatto nella sua invasione dell’Ucraina anche se in pubblico sembra criticarla. Di sicuro a sua volta mostra il suo volto più autoritario e minaccioso sia con Hong Kong, reprimendo il desiderio di democrazia dell’ex colonia inglese rientrata nell’alveo della nazione madre, sia con Taiwan, l’isola cinese su cui si rifugiarono gli sconfitti di centro e di destra della guerra civile, oggi repubblica democratica guidata da una donna dopo aver avuto un passato ormai lontano di governi militari autoritari di stampo nazionalista. La minaccia di una sua invasione da parte di Pechino incombe da anni sebbene la protezione occidentale di cui gode. Passa soprattutto da lì il confronto contemporaneo tra la più grande dittatura del pianeta, ancora connotata di comunismo, e l’alleanza dei paesi democratici liberali.
Prodotta da Eff&Ci - Facciamo Cose per il progetto History & Photography - La Storia raccontata dalla Fotografia, la mostra è visitabile dal 4 marzo al 17 giugno 2023 nei seguenti orari di apertura: dal mercoledì al sabato dalle 16.00 alle 19:30 (ultimo ingresso alle 19.00), con interruzione nel periodo pasquale dal 5 al 12 aprile inclusi. I biglietti di ingresso hanno un costo di 5 euro e non sono previste riduzioni (consentono però di tornare a visitare la mostra per più volte). Su appuntamento, si può partecipare a visite guidate (15 euro, minimo 15 persone) e foto-proiezioni commentate (15 euro, minimo 10 persone). Per ulteriori informazioni telefonare al numero 02 55019565.